La disattenzione nei confronti del fenomeno ipertensione arteriosa ha dell’incredibile, ma è in fondo comprensibile. Da quando, infatti, è terminato il periodo carenziale e, con i primi del ‘900, l’uomo ha cominciato a conoscere un periodo di relativa disponibilità economica e di cibo, gli eventi coronarici e cerebrovascolari hanno cominciato a divenire una apprezzabile causa di malattia e morte, almeno nell’occidente industrializzato (1). Da allora, elementi determinanti il rischio cardiovascolare – da verosimilmente trascurabili per prevalenza ed incidenza – sono divenuti via via più comuni, fino a diventare dilaganti. Odiernamente, la grande maggioranza degli italiani che abbiano dai 60 anni di vita in poi manifestano ipertensione arteriosa e/o diabete mellito e/o ipercolesterolemia e/o iperuricemia e/o obesità (2). Tra tutti questi elementi di rischio, quello sicuramente più allarmante è rappresentato dall’Ipertensione arteriosa. In questo ambito, lo studio Prospective Urban Rural Epidemiology Study (PURE) è un enorme studio osservazionale mirante ad investigare le correlazioni esistenti tra stile di vita e fattori di rischio modificabili ed insorgenza di eventi cardiovascolari fatali e non fatali e morte per tutte le cause. Lo studio – come è noto – viene condotto in 21 Paesi appartenenti a ben 5 continenti, tra loro assai differenti per composizione etnica, cultura e livello socio-economico. In modo molto intelligente, oltre alle differenze suddette lo studio PURE è caratterizzato per l’analisi accurata di località localizzate in aree geograficamente caratterizzate per essere sia urbane che non-urbane.
Lo studio PURE, nel passato recente e meno recente ha suscitato spesso polemiche roventi, ad esempio quando il suo database è stato usato per trattare temi come quello correlato al più salubre apporto quotidiano di carni rosse e/o formaggi o, più in generale, di grassi saturi. I risultati, infatti, sembrarono a molti come una sorte di sconfessione di quello che è un convincimento radicato – anche personale – vale a dire che la dieta mediterranea, povera di grassi saturi, sia vincente in termini protettivi rispetto ad un apporto eccessivo degli stessi grassi.
In questo contesto, tuttavia, alla pubblicazione apparsa l’anno scorso sul Lancet (3) non seguirà, quasi sicuramente, alcuna polemica rovente. È verosimile, invece, che seguirà nuovamente il nulla mentre, ovviamente, è auspicabile il divenire di una profonda rivisitazione di alcuni concetti, tanto fondamentali in prevenzione cardiovascolare quanto, sventuratamente, disattesi non tanto dai clinici, quanto dai decisori amministrativi e contabili.
In sintesi, i fattori di rischio presi in considerazione nella pubblicazione apparsa sul Lancet (3) sono stati di tipo comportamentale (fumo di sigaretta, consumo di alcol, tipo di dieta, livello di attività fisica ed introito salino), “tradizionalmente” cardiometabolico (dislipidemia, ipertensione arteriosa, diabete mellito e/o obesità) e psico-sociale (livello culturale, sintomi depressivi), a cui vanno aggiunti forza nella presa muscolare (misurata mediante dinamometro) ed inquinamento domestico e/o ambientale.
La valutazione statistica è stata eseguita considerando prevalenza, hazard ratio (con intervallo di confidenza al 95%) e rischio attribuibile di popolazione (sempre con il medesimo intervallo di confidenza). Le associazioni tra variabili di rischio ed eventi sono state esaminate grazie ai modelli multivariati di Cox ed usando il rischio attribuibile di popolazione per tutta la casistica (155722 individui) e per la stessa suddivisa per reddito [17249 (11.1%) alto introito economico, 102680 (65.9%) introito intermedio e 35793 (23.0%) introito basso].
La popolazione è risultata avere una età media pari a 50.2+9.9 anni, per il 58.3% composta da donne (n. 90811). Il 52.6% dei partecipanti risiedeva in aree urbane. Durante il follow-up (mediana = 9.5 anni) si sono verificate 10234 morti, tra cui 2917 di tipo sicuramente cardiovascolare. Gli eventi cardiovascolari incidenti sono stati 7980 (3559 infarti miocardici e 3577 ictus).
Il risultato sicuramente di maggiore interesse è stato quello relativo all’impatto dei 14 elementi di rischio considerati nei confronti dell’outcome composito predefinito (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus cerebri e scompenso cardiaco) e della mortalità totale, cardiovascolare e non cardiovascolare. Il 70% circa delle malattie cardiovascolari e delle morti, infatti, è risultato legato a fattori di rischio prevenibili nella loro insorgenza e/o, comunque, modificabili. Tali fattori erano rappresentati per il 41.2% da dislipidemia, pressione arteriosa elevata, diabete mellito e/o obesità. I fattori di rischio definibili come comportamentali (fumo di sigaretta, consumo di alcol, tipo di dieta, livello di attività fisica ed introito salino), invece, influenzavano fortemente la mortalità (26.3% del rischio attribuibile). Tuttavia, l’elemento più negativo in questo senso era il basso livello educazionale (12.5% del rischio attribuibile), mentre l’elemento determinante malattia cerebrovascolare era rappresentato principalmente dall’ipertensione arteriosa, al secondo posto come induttore di malattia coronarica, preceduto di un soffio dalla dislipidemia.
Da questo quadro desolante derivano alcune considerazioni molto rilevanti:
A) Sebbene esistano marcate differenze relative al livello economico e culturale, la popolazione italiana, europea e mondiale continua ad ammalarsi ed a morire per cause note da decenni, a loro volta conseguenti in più dei 2/3 dei casi a fattori di rischio molto conosciuti, tanto prevenibili nella loro insorgenza quanto ben curabili se già presenti. Tra questi elementi, un ruolo fondamentale è svolto dall’ipertensione arteriosa, al primo posto come determinante di malattia cardiovascolare in generale, al primo posto come determinante di malattia cerebrovascolare ed al secondo. Posto come determinante di malattia coronarica;
B) Alcuni elementi, determinanti assai “pesanti” sia di malattia che di morte, sono di tipo socioculturale, come il livello educazionale. Questo chiama sicuramente in causa il clinico, che li deve considerare quando raccoglie l’anamnesi e definisce una cura, ma necessita del contributo essenziale dei decisori amministrativi al fine di risolvere il problema alla fonte. Ciò definito, è evidente però come il basso livello educazionale e/o economico agiscano contro le nostre arterie non direttamente, bensì favorendo la comparsa e del mancato controllo di componenti il rischio cardiometabolico quali l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia, il diabete mellito e/o l’obesità.
In sintesi, 14 elementi di rischio – spesso facilmente prevenibili, o almeno efficacemente curabili se già presenti – continuano incredibilmente, come scrivevamo all’inizio, a determinare il 70% del carico di malattia o morte in 5 continenti, inclusivi della vecchia Europa e della nostra amata penisola.
Per questo motivo, vanno enfatizzate, promosse e difese tutte quelle iniziative che – su scala mondiale – si propongono di portare “verso il popolo” la conoscenza nei confronti del rischio cardiometabolico.
In tale ambito, il prossimo 17 maggio si svolgerà anche in Italia la XVII Giornata Mondiale contro l’Ipertensione Arteriosa (Figura 1). Promossa dalla World Hypertension League ed un tempo destinata alle piazze italiane, con decine di migliaia di pressioni arteriose misurate gratuitamente da medici ed infermieri, in era pandemica la Giornata si svolgerà quest’anno sul web, attraverso talk show, incontri con i pazienti e seminari.
Nessuno, pertanto, pensi di sapere già tutto nel contesto dell’ipertensione arteriosa: in Italia, più della metà dei pazienti ipertesi non è ben controllato, una quota di italiani stimabile in centinaia di migliaia ha la pressione alta, ma non lo sa o non la cura, un numero enorme di pazienti è affetto da una forma di ipertensione secondaria non diagnosticata. Per questo la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa è anche quest’anno il promotore fondamentale della Giornata Mondiale e, attraverso i Suoi 124 Centri ed Ambulatori accreditati, spalmati su tutto il territorio nazionale, è a disposizione dei cittadini per rispondere a qualsiasi quesito e portare alla risoluzione di qualunque problema ipertensione-correlato. Particolare non secondario, anche quest’anno la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa promuoverà la Giornata Mondiale con l’aiuto dei farmacisti italiani di Federfarma, che condurranno anche quest’anno – nello stesso periodo ed in collaborazione con la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa – una analoga iniziativa, giunta ormai alla IV edizione, che si chiama “Abbasso la Pressione!”
Bibliografia
- https://www.cdc.gov/mmwr/preview/mmwrhtml/mm4829a1.htm
- Volpe M, Battistoni A, Gallo G, Rubattu S, Tocci G; Writing Committee; Scientific Societies. Executive Summary of the 2018 Joint Consensus Document on Cardiovascular Disease Prevention in Italy. High Blood Press Cardiovasc Prev. 2018;25(3):327-341
- Yusuf S, Joseph P, Rangarajan S et al. Modifiable risk factors, cardiovascular disease, and mortality in 155 722 individuals from 21 high-income, middle-income, and low-income countries (PURE): a prospective cohort study Lancet. 2020; 395(10226): 795–808.
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