Correva l’anno 2003 quando, sotto la spinta culturale del compianto Professor Alberto Zanchetti, veniva pubblicata la prima edizione delle linee guida europee per la gestione dell’ipertensione arteriosa. Il professor Zanchetti aveva ben intuito che era giunto il momento che la comunità scientifica europea si esprimesse sugli aspetti diagnostici e terapeutici di questa condizione clinica di cruciale importanza piuttosto che fare riferimento alle linee guida emanate dall’OMS o da società scientifiche d’oltreoceano. La scelta è risultata vincente come testimoniato dall’enorme successo che queste linee guida hanno riscosso nelle loro diverse edizioni, collocandosi sistematicamente tra i documenti più citati al mondo. Le linee guida 2023, presentate in occasione del congresso annuale della European Society of Hypertension del maggio scorso e simultaneamente pubblicate su Journal of Hypertension in una veste grafica di agevole consultazione e corredate di una ricca documentazione iconografica, appaiono destinate a riscuotere lo stesso successo delle edizioni precedenti. Tra gli elementi di ordine pratico di maggiore rilevanza meritano una particolare menzione l’aggiornamento delle soglie e i target per la terapia antipertensiva, la conferma di un uso preferenziale dei farmaci che interferiscono con il sistema renina angiotensina (RAS), dei calcio antagonisti e dei diuretici tiazidici e similtiazidici e l’inclusione dei beta-bloccanti tra le classi principali di antipertensivi ed, infine, l’aggiornamento delle raccomandazioni sulle diverse strategie di combinazione.
L’inizio della terapia antipertensiva
Le evidenze derivanti da meta-analisi di trial randomizzati controllati dimostrano in modo evidente come la riduzione della pressione arteriosa si associ invariabilmente ad una riduzione degli eventi cardiovascolari sostanzialmente attraverso l’intero spettro di variazioni pressorie rilevate nei diversi studi clinici con una riduzione del rischio relativo sostanzialmente simile nei diversi livelli di rischio cardiovascolare di base ed una riduzione del rischio assoluto più importante per i livelli di rischio più elevati. Queste evidenze hanno indotto in un primo momento a raccomandare l’inizio del trattamento antipertensivo in relazione al livello di rischio del paziente e a considerare meritevoli di trattamenti i pazienti a rischio cardiovascolare più elevato a prescindere dai loro livelli pressori. Le linee guida 2023 hanno rimodulato questa posizione sulla base delle evidenze che dimostrano come il trattamento dei pazienti a rischio elevato non consenta di ottenere una protezione cardiovascolare ottimale in quanto una considerevole proporzione di questo rischio elevato non è più reversibile. I pazienti a più alto rischio cardiovascolare, infatti, pur beneficiano di una maggiore riduzione del rischio assoluto di eventi cardiovascolari per effetto del trattamento antipertensivo rispetto ai pazienti a basso rischio, continuano ad avere un rischio residuo notevolmente più alto rispetto a questi ultimi. Peraltro, la decisione di non raccomandare l’inizio del trattamento antipertensivo negli individui a rischio basso, come gli ipertesi giovani, non tiene conto del fatto che in questi soggetti il beneficio del trattamento antipertensivo non va misurato solo in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari o della mortalità ma anche in termini di prevenzione o ritardo della comparsa del danno d’organo subclinico e, conseguentemente, della progressione nel corso degli anni successivi verso un livello di rischio elevato e largamente irreversibile. Sulla base di queste evidenze e considerazioni le nuove linee guida supportano il trattamento farmacologico precoce dell’ipertensione arteriosa e la sua implementazione anche quando il rischio cardiovascolare è ancora basso o moderato. La quantificazione del rischio cardiovascolare globale, ovviamente, fornisce importanti informazioni gestionali e va sempre considerato nel paziente iperteso. La decisione di iniziare o meno il trattamento farmacologico deve basarsi, tuttavia, sui livelli di pressione clinica misurata.
A tale riguardo, esiste un consenso unanime tra le diverse linee guida sull’opportunità di iniziare il trattamento farmacologico dell’ipertensione arteriosa, congiuntamente all’approccio non farmacologico, nei pazienti con ipertensione di grado 2 o 3 e nei pazienti con ipertensione di grado 1 che presentino un profilo di rischio cardiovascolare elevato. All’opposto, l’indicazione al trattamento farmacologico in pazienti con ipertensione di grado 1 e rischio cardiovascolare basso o moderato (senza evidenza di diabete, malattia renale, danno d’organo o malattia cardiovascolare) è stata oggetto di discussione fino ad un recente passato con un orientamento prevalente a non raccomandare il trattamento farmacologico in questi pazienti. Invero, nonostante la tematica sia ancora piuttosto controversa, le linee guida 2023 si sono orientate verso un atteggiamento “interventista” proponendo il trattamento farmacologico, unitamente alle modifiche dello stile di vita, in tutti i pazienti con ipertensione di grado 1, indipendentemente dal profilo di rischio cardiovascolare, pur considerando la possibilità di iniziare con le solo modifiche dello stile di vita nei pazienti che presentino valori pressori meno elevati, senza evidenza di danno d’organo e basso rischio cardiovascolare (Figura 1). In particolare, la durata della fase di trattamento basata sulle sole modifiche dello stile di vita dovrebbe essere limitata ad alcuni mesi (ad esempio 6) e tenere conto dei fattori che possono condizionare l’esito di questa tipologia di trattamento quali i valori pressori partenza solo moderatamente aumentati, la possibilità di implementare le misure non farmacologiche o l’aderenza del paziente alle indicazioni terapeutiche proposte. Laddove non si riesca ad ottenere una normalizzazione della pressione arteriosa nell’arco di alcuni mesi con le sole modifiche dello stile di vita, l’inizio del trattamento farmacologico diventa mandatorio.
Per i pazienti con pressione arteriosa normale-alta e rischio cardiovascolare basso-moderato le linee guida 2023 confermano l’indicazione dell’edizione precedente a non iniziare il trattamento farmacologico limitando l’intervento alle sole modifiche dello stile di vita in quanto tale approccio riduce il rischio di progressione verso l’ipertensione arteriosa e una condizione di aumentato rischio cardiovascolare. L’approccio può essere diverso per i pazienti con pressione normale-alta e rischio cardiovascolare molto alto. Il trattamento di pazienti con pressione normale-alta e malattia cardiovascolare conclamata, soprattutto malattia coronarica, può essere considerato in quanto può garantire un certo effetto protettivo su alcuni outcome cardiovascolari nei pazienti a rischio cardiovascolare molto alto. Non appare inutile sottolineare come questi pazienti nella generalità dei casi siano già in trattamento con farmaci ipotensivanti, quali gli inibitori de sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA) o i beta bloccanti, in ragione dei loro effetti protettivi diretti sull’apparato cardiovascolare.
L’iperteso anziano
Nei pazienti con età >60 o 65 anni, definiti anziani – sia pur anacronisticamente – dalle generalità delle linee guida, esistono robuste evidenze di efficacia del trattamento antiipertensivo la cui efficacia protettiva in questi individui è anche superiore rispetto a quella che si osserva nei soggetti più giovani. La soglia di pressione arteriosa per il trattamento farmacologico è stata posta, fino ad un recente passato, a 160 mmHg di pressione sistolica in quanto tale soglia ha rappresentato il criterio di inclusione di tutti gli studi clinici randomizzati controllati sulla terapia antipertensiva nell’anziano. Invero, numerose evidenze suggestive di una efficacia protettiva del trattamento farmacologico antipertensivo in soggetti di età compresa tra 60 e 79 anni e pressione sistolica >140 mmHg ha indotto gli estensori delle linee guida 2023 a considerare il trattamento farmacologico anche nei soggetti in questa fascia di età con ipertensione di grado 1 (Tabella 1).
Decisamente meno corpose le evidenze relativa alla soglia di trattamento per i pazienti con età >80 anni nei quali gli effetti benefici del trattamento antipertensivo sono stati documentati soltanto in uno studio di outcome specificamente disegnato, lo studio HYVET. In questo studio il criterio di inclusione principale era rappresentato da valori di pressione sistolica >160 mmHg, a prescindere dai livelli di pressione diastolica. Sulla base di queste evidenze dovremmo considerare il trattamento farmacologico dell’ipertensione arteriosa negli ottuagenari soltanto in presenza di ipertensione di grado 2 o di grado 3. Simili considerazioni potrebbe essere estese anche ai pazienti con ipertensione sistolica isolata in quanto nei soggetti anziani il riscontro del solo incremento della pressione sistolica è piuttosto frequente, come anche dimostrato dal già citato studio HYVET. Invero, dall’estrapolazione di alcuni dati di questo studio emerge che i benefici del trattamento antipertensivo possono essere evidenti anche per valori pressori <150/80 mmHg, evidenza che può suggerire l’opportunità di considerare anche soglie di trattamento più basse in questi pazienti, >150 mmHg per la pressione sistolica (o, raramente, >100 mmHg per la pressione diastolica). Peraltro, lo studio SPRINT-elderly ha dimostrato significativi benefici del trattamento antipertensivo in soggetti con età compresa tra 75 e 84 anni (media 80 anni) con valori di pressione sistolica al basale <160 mmHg, pur dovendo considerare una non trascurabile sottostima dei valori pressori legata all’automisurazione della pressione arteriosa da parte dei pazienti prevista dal protocollo.
Le line guida 2023 ribadiscono con fermezza l’opportunità di non sospendere un trattamento antipertensivo ben tollerato nel momento in cui il paziente varca la soglia dei 80 anni, in quanto la discontinuazione di un trattamento antipertensivo assunto in cronico è associata ad un considerevole rialzo del rischio di outcome cardiovascolari negativi. In buona sostanza, le nuove linee guida rivolgono una notevole attenzione alla gestione dell’ipertensione nell’anziano sottolineando come l’età avanzata non debba rappresentare un elemento pregiudiziale all’impostazione del trattamento antipertensivo. La limitatezza dei dati disponibili, soprattutto nei soggetti ultranovantenni – fascia di età in progressiva espansione in Europa – impone una gestione necessariamente personalizzata che tenga conto anche delle comorbidità e dello status funzionale dell’iperteso anziano.
I target di pressione arteriosa
La definizione di target ottimali di pressione arteriosa rappresenta uno degli elementi di maggiore criticità nella redazione delle linee guida in ragione delle eterogeneità delle evidenze relative all’efficacia protettiva derivante dal raggiungimento di specifici target in diverse tipologie di pazienti. Per la generalità dei pazienti viene proposto dalle linee guida 2023 un range desiderabile di pressione arteriosa compreso tra 120 e 140 mmHg per la pressione sistolica e tra 70 e 80 per la pressione diastolica (Figura 2, Tabella 2).
La scelta della terapia antipertensiva
Le guida ESC/ESH del 2018 proponevano 5 classi di farmaci antipertensivi come prima linea di trattamento nel paziente iperteso – inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-I), inibitori del recettore di tipo I dell’angiotensina (ARB), calcio antagonisti (CCB), diuretici tiazidici/simil tiazidici e beta bloccanti (BB) – suggerendo per ACE-I e ARB una posizione di rilievo come base comune di ogni trattamento antipertensivo e restringendo l’uso dei BB a specifiche condizioni cliniche o situazioni (Figura 3). La selezione di queste 5 classi di farmaci si basava sulla loro documentata efficacia ipotensivante in monoterapia, sulle evidenze derivanti da studi randomizzati controllati di riduzione delle mortalità e morbilità e sulla loro maneggevolezza. Le linee guida 2023 riprendono ed espandono queste indicazioni, ampliando le indicazioni ad uso preferenziale dei BB e confermando la posizione in subordine di farmaci con minori evidenze derivanti da studi clinici randomizzati o con minore tollerabilità (alfa bloccanti, antipertensivi ad azione centrale e antialdosteronici) il cui uso deve essere comunque considerato in associazione ai farmaci di riferimento in specifiche condizioni o in caso di non adeguato controllo dei valori pressori (Figura 3)
La terapia di combinazione
La scelta preferenziale della terapia di combinazione nel trattamento dell’ipertensione arteriosa poggia sulla evidenza, derivata da molteplici studi, della necessità di utilizzare 2 o più farmaci antiipertensivi per controllare adeguatamente la pressione arteriosa. Nonostante nessun trial clinico abbia mai confrontato la diversa efficacia della monoterapia e della terapia di combinazione, come scelte terapeutiche iniziali, nel ridurre gli outcome cardiovascolari, numerose argomentazioni supportano l’uso ab initio della terapia di combinazione: a) l’approccio con una combinazione di farmaci è invariabilmente più efficace della monoterapia nel ridurre la pressione arteriosa in quanto bassi dosi di 2 farmaci in associazione sono più efficaci di dosi elevate di un singolo farmaco. La combinazione di farmaci che agiscono su diversi meccanismi coinvolti nel rialzo dei valori pressori, inoltre, riduce la variabilità della risposta pressoria al trattamento, consente di ottenere una riposta pressoria più rapida di quella che può essere ottenuta con incrementi di dose di un singolo farmaco ed è sicura e ben tollerata con un rischio di episodi ipotensivi modesto, anche quando prescritta a pazienti con ipertensione di grado 1; b) la terapia di combinazione consente di raggiungere più rapidamente il controllo pressorio, aspetto di non trascurabile rilevanza se si considera che il tempo necessario per raggiungere il target pressorio condiziona in modo rilevante gli outcome clinici, soprattutto nei pazienti a rischio cardiovascolare elevato; c) l’uso sin dall’inizio della terapia di combinazione consente di mantenere il controllo pressorio nel tempo probabilmente perché consente di superare l’inerzia terapeutica da parte del medico e di migliorare l’aderenza terapeutica da parte del paziente grazie alla semplificazione dello schema terapeutico con l’uso di associazioni precostituite.
Le associazioni precostituite
Le linee guida 2023 confermano la raccomandazione all’uso preferenziale delle associazioni precostituite di farmaci antipertensivi al fine di semplificare la terapia e favorire l’aderenza da parte del paziente gia proposta dall’edizione 2018. Questo approccio terapeutico è reso oggi più agevole dalla disponibilità di associazioni di 2 o 3 farmaci antipertensivi a dosaggio differenziato che permette una notevole personalizzazione del trattamento, sia in termini di molecole che di posologia (Figura 4, Tabella 3).
Quadripillola e polipillola
La possibilità di implementare il controllo pressorio e al tempo stesso la tollerabilità del trattamento ha rappresento il principio informatore dell’ipotesi di lavoro che vede nell’uso di associazioni di dosi molto basse di farmaci antipertensivi un moderno strumento terapeutico per i pazienti ipertesi. Evidenze preliminari suggeriscono una particolare efficacia di questo approccio terapeutico ancora in via di definizione applicativa.
Decisamente più esplorata la strategia della polipillola, teorizzata per la prima volta da Richard Peto nel 2001 con l’obiettivo di migliorare la prevenzione cardiovascolare nei paesi economicamente più svantaggiati, che prevedeva una combinazione a dose fissa a base di aspirina, statina, ACE-I e BB per la prevenzione secondaria degli eventi cardiovascolari. Un paio di anni dopo Wald e Law espansero ulteriormente il concetto di polipillola quale strumento di prevenzione cardiovascolare ipotizzando di usare una combinazione di farmaci e vitamine riuniti in una sola pillola da assumere giornalmente. Innegabilmente il ricorso alla polipillola semplifica lo schema terapeutico nel paziente con polifarmacoterapie consentendo, quindi, di superare alcune rilevanti problematiche connesse al politrattamento, quali errori nell’assunzione dei farmaci o interazioni farmacologiche indesiderate, criticità soprattutto rilevanti negli anziani, a tutto vantaggio della prevenzione cardiovascolare. Recentemente l’importanza di un uso diffuso della polipillola è stato sottolineata da uno dei più eminenti esperti della prevenzione cardiovascolare, Valentin Fuster in una sua appassionata “call for action” per ridurre l’impatto delle malattie cardiovascolari sulla salute di ampie fasce di popolazione. L’uso diffuso della polipillola, infatti, consentirebbe di trasferire efficacemente nella pratica clinica le robuste ed incontrovertibili evidenze di efficacia protettiva che numerose classi di farmaci cardiovascolari (dai beta-bloccanti alle statine, dagli inbitori del sistema renina angiotensina all’aspirina) hanno dimostrato di saper garantire. La diffusa applicazione di queste evidente, infatti, risente in misura rilevante da un alto della scarsa propensione del medico ad iniziare o intensificare il trattamento per raggiungere un determinato target terapeutico – atteggiamento comunemente noto con “inerzia terapeutica” – e dall’altro della non ottimale osservanza da parte dei pazienti delle prescrizioni terapeutiche. Quest’ultima, in particolare, rappresenta una delle maggiori criticità nel raggiungimento e nel mantenimento di una protezione cardiovascolare efficace. L’approccio con associazioni precostituite di farmaci della stessa classe o di classi diverse (polipillola) ha senza dubbio un grande potenziale di efficacia in prevenzione cardiovascolare, primaria e secondaria, e dovrebbe rappresentare lo standard gestionale in quanto rappresenta un chiaro esempio di modernità gestionale del rischio cardiovascolare in cui il concetto di semplificazione terapeutica si coniuga perfettamente con una sinergia di efficacia protettiva, garantendo quella resa terapeutica ottimale che deve essere l’obbiettivo finale di ogni strategia di intervento.
Conclusioni
Le linee guida europee, a 20 anni dalla loro istituzione, continuano a rappresentare il documento di riferimento per la gestione dell’ipertensione sia per l’ipertensiologo che per il medico grafico. La solidità delle evidenze che supportano le raccomandazioni proposte, unitamente ad una nuova versione grafica che ne agevola la consultazione, fanno delle linee guida ESH 2023 un prezioso strumento per il clinico che intenda personalizzare il trattamento di sogni paziente, secondo i dettami nella moderna medicina “patient-centered”. La terapia di combinazione continua a rappresentare, come già nelle linee guida 2018, il riferimento gestionale per le generalità dei pazienti ipertesi grazie alle documentate evidenze di efficacia antipertensiva e all’ampia modularità delle dosi che consente una ottimale personalizzazione del trattamento. La possibilità di utilizzare nel prossimo futuro combinazioni di dose molto basse di più farmaci antipertensivi – la quadripillola – rappresenta una ulteriore segnale di modernità gestionale finalizzata alla massimizzazione della resa terapeutica coiniugandola ad una ottimale tollerabilità. La possibilità di usare combinazioni precostituite di farmaci di classi diverse – la polipillola – già preconizzare dalle linee guida 2018, rappresenta un ulteriore spunto di innovatività terapeutica che trova la sua piena giustificazione nella frequente coesistenza di diversi determinanti del rischio cardiovascolare globale la cui coeva “targetizzazione” rappresenta il principio fondante di ogni strategia di prevenzione cardiovascolare integrata.
Bibliografia
- Mancia G, Kreutz R, Brunström M, Burnier M, Grassi G, Januszewicz A; Authors/Task Force Members:. 2023 ESH Guidelines for the management of arterial hypertension The Task Force for the management of arterial hypertension of the European Society of Hypertension Endorsed by the European Renal Association (ERA) and the International Society of Hypertension (ISH). J Hypertens. 2023 Jun 21. doi: 10.1097/HJH.0000000000003480. Epub ahead of print. PMID: 37345492.
Correva l’anno 2003 quando, sotto la spinta culturale del compianto Professor Alberto Zanchetti, veniva pubblicata la prima edizione delle linee guida europee per la gestione dell’ipertensione arteriosa. Il professor Zanchetti aveva ben intuito che era giunto il momento che la comunità scientifica europea si esprimesse sugli aspetti diagnostici e terapeutici di questa condizione clinica di cruciale importanza piuttosto che fare riferimento alle linee guida emanate dall’OMS o da società scientifiche d’oltreoceano. La scelta è risultata vincente come testimoniato dall’enorme successo che queste linee guida hanno riscosso nelle loro diverse edizioni, collocandosi sistematicamente tra i documenti più citati al mondo. Le linee guida 2023, presentate in occasione del congresso annuale della European Society of Hypertension del maggio scorso e simultaneamente pubblicate su Journal of Hypertension in una veste grafica di agevole consultazione e corredate di una ricca documentazione iconografica, appaiono destinate a riscuotere lo stesso successo delle edizioni precedenti. Tra gli elementi di ordine pratico di maggiore rilevanza meritano una particolare menzione l’aggiornamento delle soglie e i target per la terapia antipertensiva, la conferma di un uso preferenziale dei farmaci che interferiscono con il sistema renina angiotensina (RAS), dei calcio antagonisti e dei diuretici tiazidici e similtiazidici e l’inclusione dei beta-bloccanti tra le classi principali di antipertensivi ed, infine, l’aggiornamento delle raccomandazioni sulle diverse strategie di combinazione.
L’inizio della terapia antipertensiva
Le evidenze derivanti da meta-analisi di trial randomizzati controllati dimostrano in modo evidente come la riduzione della pressione arteriosa si associ invariabilmente ad una riduzione degli eventi cardiovascolari sostanzialmente attraverso l’intero spettro di variazioni pressorie rilevate nei diversi studi clinici con una riduzione del rischio relativo sostanzialmente simile nei diversi livelli di rischio cardiovascolare di base ed una riduzione del rischio assoluto più importante per i livelli di rischio più elevati. Queste evidenze hanno indotto in un primo momento a raccomandare l’inizio del trattamento antipertensivo in relazione al livello di rischio del paziente e a considerare meritevoli di trattamenti i pazienti a rischio cardiovascolare più elevato a prescindere dai loro livelli pressori. Le linee guida 2023 hanno rimodulato questa posizione sulla base delle evidenze che dimostrano come il trattamento dei pazienti a rischio elevato non consenta di ottenere una protezione cardiovascolare ottimale in quanto una considerevole proporzione di questo rischio elevato non è più reversibile. I pazienti a più alto rischio cardiovascolare, infatti, pur beneficiano di una maggiore riduzione del rischio assoluto di eventi cardiovascolari per effetto del trattamento antipertensivo rispetto ai pazienti a basso rischio, continuano ad avere un rischio residuo notevolmente più alto rispetto a questi ultimi. Peraltro, la decisione di non raccomandare l’inizio del trattamento antipertensivo negli individui a rischio basso, come gli ipertesi giovani, non tiene conto del fatto che in questi soggetti il beneficio del trattamento antipertensivo non va misurato solo in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari o della mortalità ma anche in termini di prevenzione o ritardo della comparsa del danno d’organo subclinico e, conseguentemente, della progressione nel corso degli anni successivi verso un livello di rischio elevato e largamente irreversibile. Sulla base di queste evidenze e considerazioni le nuove linee guida supportano il trattamento farmacologico precoce dell’ipertensione arteriosa e la sua implementazione anche quando il rischio cardiovascolare è ancora basso o moderato. La quantificazione del rischio cardiovascolare globale, ovviamente, fornisce importanti informazioni gestionali e va sempre considerato nel paziente iperteso. La decisione di iniziare o meno il trattamento farmacologico deve basarsi, tuttavia, sui livelli di pressione clinica misurata.
A tale riguardo, esiste un consenso unanime tra le diverse linee guida sull’opportunità di iniziare il trattamento farmacologico dell’ipertensione arteriosa, congiuntamente all’approccio non farmacologico, nei pazienti con ipertensione di grado 2 o 3 e nei pazienti con ipertensione di grado 1 che presentino un profilo di rischio cardiovascolare elevato. All’opposto, l’indicazione al trattamento farmacologico in pazienti con ipertensione di grado 1 e rischio cardiovascolare basso o moderato (senza evidenza di diabete, malattia renale, danno d’organo o malattia cardiovascolare) è stata oggetto di discussione fino ad un recente passato con un orientamento prevalente a non raccomandare il trattamento farmacologico in questi pazienti. Invero, nonostante la tematica sia ancora piuttosto controversa, le linee guida 2023 si sono orientate verso un atteggiamento “interventista” proponendo il trattamento farmacologico, unitamente alle modifiche dello stile di vita, in tutti i pazienti con ipertensione di grado 1, indipendentemente dal profilo di rischio cardiovascolare, pur considerando la possibilità di iniziare con le solo modifiche dello stile di vita nei pazienti che presentino valori pressori meno elevati, senza evidenza di danno d’organo e basso rischio cardiovascolare (Figura 1). In particolare, la durata della fase di trattamento basata sulle sole modifiche dello stile di vita dovrebbe essere limitata ad alcuni mesi (ad esempio 6) e tenere conto dei fattori che possono condizionare l’esito di questa tipologia di trattamento quali i valori pressori partenza solo moderatamente aumentati, la possibilità di implementare le misure non farmacologiche o l’aderenza del paziente alle indicazioni terapeutiche proposte. Laddove non si riesca ad ottenere una normalizzazione della pressione arteriosa nell’arco di alcuni mesi con le sole modifiche dello stile di vita, l’inizio del trattamento farmacologico diventa mandatorio.
Per i pazienti con pressione arteriosa normale-alta e rischio cardiovascolare basso-moderato le linee guida 2023 confermano l’indicazione dell’edizione precedente a non iniziare il trattamento farmacologico limitando l’intervento alle sole modifiche dello stile di vita in quanto tale approccio riduce il rischio di progressione verso l’ipertensione arteriosa e una condizione di aumentato rischio cardiovascolare. L’approccio può essere diverso per i pazienti con pressione normale-alta e rischio cardiovascolare molto alto. Il trattamento di pazienti con pressione normale-alta e malattia cardiovascolare conclamata, soprattutto malattia coronarica, può essere considerato in quanto può garantire un certo effetto protettivo su alcuni outcome cardiovascolari nei pazienti a rischio cardiovascolare molto alto. Non appare inutile sottolineare come questi pazienti nella generalità dei casi siano già in trattamento con farmaci ipotensivanti, quali gli inibitori de sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA) o i beta bloccanti, in ragione dei loro effetti protettivi diretti sull’apparato cardiovascolare.
L’iperteso anziano
Nei pazienti con età >60 o 65 anni, definiti anziani – sia pur anacronisticamente – dalle generalità delle linee guida, esistono robuste evidenze di efficacia del trattamento antiipertensivo la cui efficacia protettiva in questi individui è anche superiore rispetto a quella che si osserva nei soggetti più giovani. La soglia di pressione arteriosa per il trattamento farmacologico è stata posta, fino ad un recente passato, a 160 mmHg di pressione sistolica in quanto tale soglia ha rappresentato il criterio di inclusione di tutti gli studi clinici randomizzati controllati sulla terapia antipertensiva nell’anziano. Invero, numerose evidenze suggestive di una efficacia protettiva del trattamento farmacologico antipertensivo in soggetti di età compresa tra 60 e 79 anni e pressione sistolica >140 mmHg ha indotto gli estensori delle linee guida 2023 a considerare il trattamento farmacologico anche nei soggetti in questa fascia di età con ipertensione di grado 1 (Tabella 1).
Decisamente meno corpose le evidenze relativa alla soglia di trattamento per i pazienti con età >80 anni nei quali gli effetti benefici del trattamento antipertensivo sono stati documentati soltanto in uno studio di outcome specificamente disegnato, lo studio HYVET. In questo studio il criterio di inclusione principale era rappresentato da valori di pressione sistolica >160 mmHg, a prescindere dai livelli di pressione diastolica. Sulla base di queste evidenze dovremmo considerare il trattamento farmacologico dell’ipertensione arteriosa negli ottuagenari soltanto in presenza di ipertensione di grado 2 o di grado 3. Simili considerazioni potrebbe essere estese anche ai pazienti con ipertensione sistolica isolata in quanto nei soggetti anziani il riscontro del solo incremento della pressione sistolica è piuttosto frequente, come anche dimostrato dal già citato studio HYVET. Invero, dall’estrapolazione di alcuni dati di questo studio emerge che i benefici del trattamento antipertensivo possono essere evidenti anche per valori pressori <150/80 mmHg, evidenza che può suggerire l’opportunità di considerare anche soglie di trattamento più basse in questi pazienti, >150 mmHg per la pressione sistolica (o, raramente, >100 mmHg per la pressione diastolica). Peraltro, lo studio SPRINT-elderly ha dimostrato significativi benefici del trattamento antipertensivo in soggetti con età compresa tra 75 e 84 anni (media 80 anni) con valori di pressione sistolica al basale <160 mmHg, pur dovendo considerare una non trascurabile sottostima dei valori pressori legata all’automisurazione della pressione arteriosa da parte dei pazienti prevista dal protocollo.
Le line guida 2023 ribadiscono con fermezza l’opportunità di non sospendere un trattamento antipertensivo ben tollerato nel momento in cui il paziente varca la soglia dei 80 anni, in quanto la discontinuazione di un trattamento antipertensivo assunto in cronico è associata ad un considerevole rialzo del rischio di outcome cardiovascolari negativi. In buona sostanza, le nuove linee guida rivolgono una notevole attenzione alla gestione dell’ipertensione nell’anziano sottolineando come l’età avanzata non debba rappresentare un elemento pregiudiziale all’impostazione del trattamento antipertensivo. La limitatezza dei dati disponibili, soprattutto nei soggetti ultranovantenni – fascia di età in progressiva espansione in Europa – impone una gestione necessariamente personalizzata che tenga conto anche delle comorbidità e dello status funzionale dell’iperteso anziano.
I target di pressione arteriosa
La definizione di target ottimali di pressione arteriosa rappresenta uno degli elementi di maggiore criticità nella redazione delle linee guida in ragione delle eterogeneità delle evidenze relative all’efficacia protettiva derivante dal raggiungimento di specifici target in diverse tipologie di pazienti. Per la generalità dei pazienti viene proposto dalle linee guida 2023 un range desiderabile di pressione arteriosa compreso tra 120 e 140 mmHg per la pressione sistolica e tra 70 e 80 per la pressione diastolica (Figura 2, Tabella 2).
La scelta della terapia antipertensiva
Le guida ESC/ESH del 2018 proponevano 5 classi di farmaci antipertensivi come prima linea di trattamento nel paziente iperteso – inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-I), inibitori del recettore di tipo I dell’angiotensina (ARB), calcio antagonisti (CCB), diuretici tiazidici/simil tiazidici e beta bloccanti (BB) – suggerendo per ACE-I e ARB una posizione di rilievo come base comune di ogni trattamento antipertensivo e restringendo l’uso dei BB a specifiche condizioni cliniche o situazioni (Figura 3). La selezione di queste 5 classi di farmaci si basava sulla loro documentata efficacia ipotensivante in monoterapia, sulle evidenze derivanti da studi randomizzati controllati di riduzione delle mortalità e morbilità e sulla loro maneggevolezza. Le linee guida 2023 riprendono ed espandono queste indicazioni, ampliando le indicazioni ad uso preferenziale dei BB e confermando la posizione in subordine di farmaci con minori evidenze derivanti da studi clinici randomizzati o con minore tollerabilità (alfa bloccanti, antipertensivi ad azione centrale e antialdosteronici) il cui uso deve essere comunque considerato in associazione ai farmaci di riferimento in specifiche condizioni o in caso di non adeguato controllo dei valori pressori (Figura 3)
La terapia di combinazione
La scelta preferenziale della terapia di combinazione nel trattamento dell’ipertensione arteriosa poggia sulla evidenza, derivata da molteplici studi, della necessità di utilizzare 2 o più farmaci antiipertensivi per controllare adeguatamente la pressione arteriosa. Nonostante nessun trial clinico abbia mai confrontato la diversa efficacia della monoterapia e della terapia di combinazione, come scelte terapeutiche iniziali, nel ridurre gli outcome cardiovascolari, numerose argomentazioni supportano l’uso ab initio della terapia di combinazione: a) l’approccio con una combinazione di farmaci è invariabilmente più efficace della monoterapia nel ridurre la pressione arteriosa in quanto bassi dosi di 2 farmaci in associazione sono più efficaci di dosi elevate di un singolo farmaco. La combinazione di farmaci che agiscono su diversi meccanismi coinvolti nel rialzo dei valori pressori, inoltre, riduce la variabilità della risposta pressoria al trattamento, consente di ottenere una riposta pressoria più rapida di quella che può essere ottenuta con incrementi di dose di un singolo farmaco ed è sicura e ben tollerata con un rischio di episodi ipotensivi modesto, anche quando prescritta a pazienti con ipertensione di grado 1; b) la terapia di combinazione consente di raggiungere più rapidamente il controllo pressorio, aspetto di non trascurabile rilevanza se si considera che il tempo necessario per raggiungere il target pressorio condiziona in modo rilevante gli outcome clinici, soprattutto nei pazienti a rischio cardiovascolare elevato; c) l’uso sin dall’inizio della terapia di combinazione consente di mantenere il controllo pressorio nel tempo probabilmente perché consente di superare l’inerzia terapeutica da parte del medico e di migliorare l’aderenza terapeutica da parte del paziente grazie alla semplificazione dello schema terapeutico con l’uso di associazioni precostituite.
Le associazioni precostituite
Le linee guida 2023 confermano la raccomandazione all’uso preferenziale delle associazioni precostituite di farmaci antipertensivi al fine di semplificare la terapia e favorire l’aderenza da parte del paziente gia proposta dall’edizione 2018. Questo approccio terapeutico è reso oggi più agevole dalla disponibilità di associazioni di 2 o 3 farmaci antipertensivi a dosaggio differenziato che permette una notevole personalizzazione del trattamento, sia in termini di molecole che di posologia (Figura 4, Tabella 3).
Quadripillola e polipillola
La possibilità di implementare il controllo pressorio e al tempo stesso la tollerabilità del trattamento ha rappresento il principio informatore dell’ipotesi di lavoro che vede nell’uso di associazioni di dosi molto basse di farmaci antipertensivi un moderno strumento terapeutico per i pazienti ipertesi. Evidenze preliminari suggeriscono una particolare efficacia di questo approccio terapeutico ancora in via di definizione applicativa.
Decisamente più esplorata la strategia della polipillola, teorizzata per la prima volta da Richard Peto nel 2001 con l’obiettivo di migliorare la prevenzione cardiovascolare nei paesi economicamente più svantaggiati, che prevedeva una combinazione a dose fissa a base di aspirina, statina, ACE-I e BB per la prevenzione secondaria degli eventi cardiovascolari. Un paio di anni dopo Wald e Law espansero ulteriormente il concetto di polipillola quale strumento di prevenzione cardiovascolare ipotizzando di usare una combinazione di farmaci e vitamine riuniti in una sola pillola da assumere giornalmente. Innegabilmente il ricorso alla polipillola semplifica lo schema terapeutico nel paziente con polifarmacoterapie consentendo, quindi, di superare alcune rilevanti problematiche connesse al politrattamento, quali errori nell’assunzione dei farmaci o interazioni farmacologiche indesiderate, criticità soprattutto rilevanti negli anziani, a tutto vantaggio della prevenzione cardiovascolare. Recentemente l’importanza di un uso diffuso della polipillola è stato sottolineata da uno dei più eminenti esperti della prevenzione cardiovascolare, Valentin Fuster in una sua appassionata “call for action” per ridurre l’impatto delle malattie cardiovascolari sulla salute di ampie fasce di popolazione. L’uso diffuso della polipillola, infatti, consentirebbe di trasferire efficacemente nella pratica clinica le robuste ed incontrovertibili evidenze di efficacia protettiva che numerose classi di farmaci cardiovascolari (dai beta-bloccanti alle statine, dagli inbitori del sistema renina angiotensina all’aspirina) hanno dimostrato di saper garantire. La diffusa applicazione di queste evidente, infatti, risente in misura rilevante da un alto della scarsa propensione del medico ad iniziare o intensificare il trattamento per raggiungere un determinato target terapeutico – atteggiamento comunemente noto con “inerzia terapeutica” – e dall’altro della non ottimale osservanza da parte dei pazienti delle prescrizioni terapeutiche. Quest’ultima, in particolare, rappresenta una delle maggiori criticità nel raggiungimento e nel mantenimento di una protezione cardiovascolare efficace. L’approccio con associazioni precostituite di farmaci della stessa classe o di classi diverse (polipillola) ha senza dubbio un grande potenziale di efficacia in prevenzione cardiovascolare, primaria e secondaria, e dovrebbe rappresentare lo standard gestionale in quanto rappresenta un chiaro esempio di modernità gestionale del rischio cardiovascolare in cui il concetto di semplificazione terapeutica si coniuga perfettamente con una sinergia di efficacia protettiva, garantendo quella resa terapeutica ottimale che deve essere l’obbiettivo finale di ogni strategia di intervento.
Conclusioni
Le linee guida europee, a 20 anni dalla loro istituzione, continuano a rappresentare il documento di riferimento per la gestione dell’ipertensione sia per l’ipertensiologo che per il medico grafico. La solidità delle evidenze che supportano le raccomandazioni proposte, unitamente ad una nuova versione grafica che ne agevola la consultazione, fanno delle linee guida ESH 2023 un prezioso strumento per il clinico che intenda personalizzare il trattamento di sogni paziente, secondo i dettami nella moderna medicina “patient-centered”. La terapia di combinazione continua a rappresentare, come già nelle linee guida 2018, il riferimento gestionale per le generalità dei pazienti ipertesi grazie alle documentate evidenze di efficacia antipertensiva e all’ampia modularità delle dosi che consente una ottimale personalizzazione del trattamento. La possibilità di utilizzare nel prossimo futuro combinazioni di dose molto basse di più farmaci antipertensivi – la quadripillola – rappresenta una ulteriore segnale di modernità gestionale finalizzata alla massimizzazione della resa terapeutica coiniugandola ad una ottimale tollerabilità. La possibilità di usare combinazioni precostituite di farmaci di classi diverse – la polipillola – già preconizzare dalle linee guida 2018, rappresenta un ulteriore spunto di innovatività terapeutica che trova la sua piena giustificazione nella frequente coesistenza di diversi determinanti del rischio cardiovascolare globale la cui coeva “targetizzazione” rappresenta il principio fondante di ogni strategia di prevenzione cardiovascolare integrata.
Bibliografia
- Mancia G, Kreutz R, Brunström M, Burnier M, Grassi G, Januszewicz A; Authors/Task Force Members:. 2023 ESH Guidelines for the management of arterial hypertension The Task Force for the management of arterial hypertension of the European Society of Hypertension Endorsed by the European Renal Association (ERA) and the International Society of Hypertension (ISH). J Hypertens. 2023 Jun 21. doi: 10.1097/HJH.0000000000003480. Epub ahead of print. PMID: 37345492.
Related papers
Nell’ambito della medicina cardiovascolare uno dei “mantra” ricorrenti è il termine “polipillola” che viene suggerita come una soluzione futuribile per il trattamento delle cosiddette malattie cronico-degenerative. Tuttavia, ciò che non è ancora interamente definito è se per dare costrutto a tale termine semanticamente evocativo sia necessario prevedere una logica di supporto o semplicemente ci si [more info]
Abstract Le malattie cardiovascolari (CV) rappresentano la principale causa di mortalità nei paesi industrializzati. La riduzione dei livelli di colesterolo LDL (C-LDL) è fondamentale per la prevenzione degli eventi CV, soprattutto nei pazienti a rischio alto e molto alto. Le statine rappresentano il trattamento di prima linea per il controllo delle dislipidemie, ma molti pazienti [more info]
Abstract L’obesità è una malattia cronica multifattoriale caratterizzata da eccessivo accumulo di adipe spesso a distribuzione viscerale, che porta a numerose conseguenze cardio-metaboliche, tra cui l’aumento dei valori di pressione arteriosa sistemica. Considerare l’obesità non solo come fattore di rischio, ma come elemento centrale all’origine di numerose malattie metaboliche, cardiovascolari e renali, permette di superare [more info]