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Comment to Claudio Ferri1, Claudio Borghi2, Giovambattista Desideri3

1Professore Ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento MeSVA, Direttore Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Nefrologia, Ospedale San Salvatore dell’Aquila, L’Aquila
2Professore Ordinario di Medicina Interna, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Università di Bologna, Direttore Unità Operativa Complessa di Medicina Interna, Policlinico di Sant’Orsola, Bologna
3Professore Ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento MeSVA, Direttore Unità Operativa Complessa di Geriatria, Ospedale SS Filippo e Nicola, Avezzano

Introduzione

L’ipertensione arteriosa è una condizione presente in più del 30% della popolazione italiana adulta, per la quale rappresenta la principale causa – o comunque una delle principali cause – di malattie cardiovascolari (ictus cerebri, infarto del miocardio, insufficienza cardiaca e/o arteriopatia periferica) e/o renali e/o declino delle funzioni cognitive (1).

Nel trattamento dell’ipertensione, l’aderenza terapeutica e la persistenza in terapia svolgono un ruolo fondamentale nel raggiungimento e nel mantenimento di una pressione arteriosa controllata. A questo proposito, per aderenza terapeutica e persistenza in terapia si intendono, rispettivamente, la capacità dei pazienti di seguire le indicazioni concordate con il medico curante (assumere correttamente i farmaci e seguire uno stile di vita sano) e partecipare attivamente e fedelmente al proprio piano di cura nel lungo periodo. Sia aderenza che persistenza sono essenziali per il singolo paziente iperteso, poiché la gestione efficace dell’ipertensione arteriosa richiede un trattamento che deve forzatamente essere persistente nel lungo termine, ma molti pazienti possono incontrare difficoltà in questo senso, dimenticando di assumere la terapia farmacologica e/o seguire le opportune modifiche dello stile di vita oppure – comunque – risultando non aderenti e/o persistenti per altri motivi.

Per migliorare l’aderenza terapeutica, pertanto, è importante educare i pazienti, fornendo loro le informazioni necessarie per comprendere la loro condizione e semplificando lo schema terapeutico. Sempre, a questo proposito, i medici dovranno operare in collaborazione con i pazienti, al fine di stabilire piani di cura personalizzati, che tengano conto delle esigenze individuali e delle preferenze relative al trattamento.

 

Cosa raccomandano le linee guida in merito all’aderenza terapeutica?

Le linee guida della Società Europea di Cardiologia (European Society of Cardiology; ESC) e della Società Europea dell’Ipertensione (European Society of Hypertension; ESH) del 2018 enfatizzano l’importanza dell’aderenza al trattamento antipertensivo, identificando nella scarsa aderenza la causa principale del controllo insufficiente della pressione arteriosa (2) e, di conseguenza, dell’aumento del rischio cardiovascolare (1). Studi condotti nella popolazione generale di ipertesi hanno rivelato come meno del 50% dei pazienti aderisca correttamente al trattamento antipertensivo (3). Durante un follow-up medio di 6 anni di una coorte di 12.016 individui ipertesi è stato osservato che, rispetto a coloro che interrompevano il trattamento, quelli aderenti alla terapia mostravano un rischio ridotto del 37% di manifestare eventi cardiovascolari (3). Inoltre, rispetto ai pazienti con una copertura farmacologica molto bassa, quelli con copertura intermedia e alta avevano, rispettivamente, una riduzione del rischio del 20% e del 25% – risultati che si applicavano sia agli eventi coronarici che a quelli cerebrovascolari (3).

In questo contesto, l’aderenza al trattamento è fortemente influenzata dal numero di pillole o compresse da assumere quotidianamente. I pazienti che assumono una sola pillola esibiscono un tasso di non-aderenza pari al 10%, frequenza che aumenta al 20% se il paziente deve assumere due pillole, al 40% per tre pillole e livelli molto elevati di non-aderenza parziale o completa nei pazienti che assumono cinque o più pillole (4). Pertanto, la complessità del regime terapeutico influenza negativamente l’aderenza al trattamento e la persistenza in trattamento nel lungo periodo. Da ciò ne consegue che il numero di compresse o pillole quotidiane deve essere sempre tenuto in forte considerazione dai clinici. In accordo con ciò, d’altra parte, le già citate linee guida raccomandano di iniziare sempre il trattamento dell’ipertensione arteriosa con una terapia di combinazione fissa, al fine proprio di migliorare l’aderenza e la persistenza rispetto a regimi terapeutici fondati su combinazioni estemporanee (5,6). Un noto studio di Corrao e colleghi, a questo proposito, ha valutato il rischio di interruzione del trattamento prendendo come riferimento i pazienti che iniziavano con una monoterapia a base di diuretici. Questo studio può vantare un’ampia coorte di pazienti di età compresa tra 40 e 80 anni provenienti da tutto il territorio italiano (n = 474.879), che avevano ricevuto la prima prescrizione di farmaci antipertensivi e la cui persistenza di trattamento è stata esaminata nell’arco di nove mesi. Il rischio di interruzione del trattamento è risultato progressivamente inferiore nei pazienti che iniziavano con una monoterapia diversa da un diuretico, una combinazione di due farmaci, incluso un diuretico, e una combinazione di due farmaci senza diuretico (5).

Lo studio di Corrao e colleghi conferma pienamente come la scarsa aderenza ai farmaci antipertensivi prescritti sia una causa molto frequente di ipertensione arteriosa pseudo-resistente, presente nella maggioranza dei pazienti con pressione arteriosa elevata nonostante la terapia (2). Il trattamento dell’ipertensione apparentemente resistente è, quindi, una sfida clinica che richiede un approccio terapeutico mirato e completo, finalizzato in primissima istanza a garantire aderenza e persistenza. Tale garanzia, come già esplicitato, poggia soprattutto su un regime terapeutico il più semplice possibile: le linee guida raccomandano giustamente l’impiego ab initio di un trattamento di combinazione fissa – cioè in singola compressa contenente più principi attivi – come approccio che facilita la gestione della terapia ed amplifica l’aderenza al trattamento (2). Le linee guida ESC/ESH 2018, in dettaglio, raccomandano l’uso di combinazioni fisse tra un farmaco inibitore del sistema renina-angiotensina (RAS) – ossia sartani (o Angiotensin Receptor Blockers, ARBs) o inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina I (ACE) – con i calcioantagonisti diidropiridinici (Calcium Channel Blockers, CCBs) oppure i diuretici, di norma non dell’ansa (2).

 

Strategie terapeutiche di combinazione nel contesto antipertensivo

La maggior parte dei pazienti ipertesi richiede l’uso contemporaneo di due o più farmaci antipertensivi. La scelta dei farmaci dipende da vari fattori, tra cui la gravità dell’ipertensione, la presenza di altre condizioni e/o la risposta individuale ai farmaci.

Un requisito fondamentale di qualsiasi combinazione fissa antipertensiva è l’evidenza che essa riduca la pressione arteriosa in misura maggiore rispetto ai singoli componenti. In tale contesto, la capacità di ridurre la pressione arteriosa del singolo farmaco antipertensivo può variare di alcuni mmHg, ma l’effetto di due antipertensivi in combinazione può variare notevolmente: alcune combinazioni possono produrre un effetto additivo altre o sinergico (7).

Un altro aspetto importante è la tollerabilità dei farmaci. Alcune combinazioni possono migliorare la tollerabilità, riducendo gli effetti collaterali associati ad un farmaco specifico. Ad esempio, l’aggiunta di un ARB o di un ACE-inibitore ad un diuretico può migliorare la tollerabilità riducendo la comparsa di ipokaliemia. L’aggiunta di un ARB o un ACE-inibitore ad un CCB diidropiridinico può ridurre l’incidenza e la severità dell’edema declive (8,9). L’American Society of Hypertension (ASH) ha emesso linee guida che classificano le combinazioni di due farmaci in categorie “preferibili”, “accettabili” e “meno efficaci”, tenendo conto dell’efficacia nell’abbassamento della pressione e della tollerabilità (Tabella 1) (7). Tuttavia, bisogna sottolineare che l’approccio basato solo ed esclusivamente sulla classe terapeutica potrebbe nascondere importanti differenze tra i singoli farmaci: è fondamentale, dunque, valutare le differenze tra questi all’interno di ciascuna classe terapeutica (7).

Le strategie di approccio terapeutico ai pazienti ipertesi sono mutate nel tempo, e con esse le indicazioni fornite dalle linee guida internazionali. In passato, era comune un approccio graduale che consisteva nell’incremento progressivo del dosaggio della monoterapia fino al raggiungimento della dose massima consentita. Nel tempo, questo metodo si è rivelato poco efficace, oltre che controproducente: il raggiungimento del target pressorio veniva ritardato e il tasso di eventi avversi correlati al trattamento aumentava a causa dell’elevato dosaggio, nel caso di farmaci con effetti collaterali dose-dipendenti come diuretici e beta-bloccanti (7).

 

La combinazione tra irbesartan ed amlodipina

Irbesartan/amlodipina è una combinazione a dose fissa per il trattamento dell’ipertensione arteriosa, efficace in unica somministrazione quotidiana. Essa agisce attraverso gli effetti combinati di irbesartan, un ARB, e amlodipina, un CCB diidropiridinico. Entrambi i farmaci riducono la pressione arteriosa mediante la riduzione delle resistenze periferiche. Tuttavia, i loro meccanismi d’azione sono complementari, vista la calcio-dipendenza della contrazione vascolare angiotensina II-dipendente, garantendo così un effetto sinergico sulla pressione arteriosa quando somministrati insieme (10).

La farmacocinetica sia di irbesartan che di amlodipina appare lineare nell’intervallo terapeutico raccomandato (150 o 300 mg/giorno e 5 o 10 mg/giorno, rispettivamente) e le biodisponibilità di entrambi i farmaci – pari al 95%, nel caso di irbesartan, e al 98%, nel caso di amlodipina – non è influenzata dalla loro somministrazione contemporanea. Infine, l’eliminazione di entrambi i farmaci non viene alterata dalla somministrazione simultanea delle due molecole. La terapia con la combinazione a dose fissa di irbesartan/amlodipina 150-300/5-10 mg al giorno è stata ben tollerata dai pazienti con ipertensione non adeguatamente controllata con monoterapia iniziale di amlodipina o irbesartan. Il profilo di tollerabilità è coerente con quello dei singoli farmaci; l’evento avverso più frequente risulta essere l’edema periferico, spesso associato al trattamento con amlodipina. In particolare, l’efficacia del trattamento con la combinazione a dose fissa di irbesartan/amlodipina per l’ipertensione è stata studiata in due trial clinici di fase III, I-COMBINE e I-ADD, che hanno confrontato la combinazione a dose fissa con la monoterapia di irbesartan e di amlodipina, a seguito dei due trattamenti individuali (11,12).

Dopo un periodo iniziale di monoterapia con irbesartan 150 mg/giorno o amlodipina 5 mg/giorno, i pazienti che soddisfacevano i criteri di ammissione sono stati randomizzati a ricevere la combinazione a dose fissa (irbesartan/amlodipina 150/5 mg/giorno) oppure a continuare la monoterapia per altre 5 settimane. Il dosaggio veniva successivamente aumentato per altre 5 settimane, passando a 300/5 mg/giorno o 150/10 mg/giorno per la combinazione fissa irbesartan/amlodipina, a 300 mg/giorno per la monoterapia con irbesartan e a 10 mg/giorno per la monoterapia con amlodipina 10 (11,12). L’endpoint primario era la valutazione della variazione della pressione sistolica a riposo a domicilio rispetto al basale alla settimana 5 (12) o alla settimana 10 (11), sulla base delle misurazioni effettuate dal paziente negli ultimi 6 giorni di ciascun periodo. Le misurazioni a domicilio venivano effettuate due volte al mattino e due volte alla sera nei giorni di misurazione, dopo un riposo di 5 minuti in posizione seduta.

La terapia con la combinazione a dose fissa di irbesartan/amlodipina 150-300/5-10 mg/giorno è stata più efficace rispetto alla continuazione della monoterapia con irbesartan 150-300 mg/giorno o amlodipina 5-10 mg/giorno sia a domicilio che in ambulatorio (11,12). Questi esiti sono risultati consistenti in entrambi gli studi I-COMBINE e I-ADD dopo 5 e 10 settimane di trattamento, rispettivamente. Inoltre, un maggior numero di pazienti trattati con la combinazione fissa ha raggiunto valori di pressione arteriosa target a domicilio (sistolica < 135 mmHg), così come in ambulatorio (sistolica/diastolica < 140/90 mmHg), rispetto alla monoterapia (Tabelle 2 e 3).

È interessante, inoltre, citare lo studio post-marketing PARTNER (Practical combination therapy of Amlodin and angiotensin II Receptor blocker; Safety and efficacy in paTieNts with hypERtension), che ha valutato l’efficacia e la sicurezza della combinazione tra amlodipina e irbesartan in pazienti ipertesi (13). I pazienti che ricevevano la combinazione dei due farmaci hanno mostrato una significativa riduzione della pressione arteriosa dopo quattro settimane, mantenuta fino a 12 settimane. Circa il 70% dei pazienti ha raggiunto valori di pressione inferiore a 140/90 mmHg. Sono stati osservati miglioramenti nella proteinuria e nella funzione renale, mentre l’acido urico sierico è diminuito. Le reazioni avverse sono state rare e non hanno compromesso la continuazione del trattamento. La terapia combinata con amlodipina e irbesartan è risultata efficace nel ridurre la pressione arteriosa senza problemi di sicurezza particolari e offre benefici renoprotettivi.

Irbesartan aveva già rivelato comprovate evidenze di nefroprotezione in pazienti ipertesi con diabete di tipo 2 e microalbuminuria nello studio IRMA-2 (The Irbesartan in Type 2 Diabetes With Microalbuminuria 2) (14), che ha evidenziato che l’incidenza di nefropatia era significativamente inferiore nei gruppi trattati con irbesartan (150 mg/giorno o 300 mg/giorno) rispetto al gruppo placebo. Irbesartan, inoltre, ha ridotto i livelli di microalbuminuria, con un effetto maggiore osservato nel gruppo con la dose più elevata. Questi risultati suggeriscono come irbesartan ritardi efficacemente la progressione verso l’albuminuria franca nei pazienti ipertesi con diabete di tipo 2 e microalbuminuria, indipendentemente dal suo effetto ipotensivo.

 

Conclusioni

Influendo direttamente sul raggiungimento e il mantenimento di una pressione arteriosa controllata, l’aderenza terapeutica rappresenta un elemento fondamentale nel trattamento dell’ipertensione. I pazienti aderenti alla terapia antipertensiva presentano un rischio ridotto di eventi cardiovascolari rispetto a quelli non aderenti. Tuttavia, dal momento che la complessità del trattamento influisce sull’aderenza, l’uso di combinazioni fisse tra farmaci antipertensivi può semplificarlo, migliorando così la persistenza. In combinazione fissa, irbesartan+amlodipina confermano le comprovate evidenze di efficacia e manifestano un effetto antipertensivo di tipo sinergico. Gli studi di efficacia hanno dimostrato che l’effetto sinergico sulla pressione arteriosa rende la terapia combinata più efficace rispetto alla monoterapia con i singoli principi attivi.

 

 

Bibliografia

  1. Tiffe T, Wagner M, Rücker V, Morbach C, Gelbrich G, Störk S, et al. Control of cardiovascular risk factors and its determinants in the general population- findings from the STAAB cohort study. BMC Cardiovasc Disord. 2 novembre 2017;17(1):276.
  2. Williams B, Mancia G, Spiering W, Agabiti Rosei E, Azizi M, Burnier M, et al. 2018 ESC/ESH Guidelines for the management of arterial hypertension. Eur Heart J. 1 settembre 2018;39(33):3021–104.
  3. Corrao G, Parodi A, Nicotra F, Zambon A, Merlino L, Cesana G, et al. Better compliance to antihypertensive medications reduces cardiovascular risk. J Hypertens. marzo 2011;29(3):610–8.
  4. Gupta P, Patel P, Štrauch B, Lai FY, Akbarov A, Gulsin GS, et al. Biochemical Screening for Nonadherence Is Associated With Blood Pressure Reduction and Improvement in Adherence. Hypertension. novembre 2017;70(5):1042–8.
  5. Corrao G, Parodi A, Zambon A, Heiman F, Filippi A, Cricelli C, et al. Reduced discontinuation of antihypertensive treatment by two-drug combination as first step. Evidence from daily life practice. J Hypertens. luglio 2010;28(7):1584–90.
  6. Conn VS, Ruppar TM, Chase JAD, Enriquez M, Cooper PS. Interventions to Improve Medication Adherence in Hypertensive Patients: Systematic Review and Meta-analysis. Curr Hypertens Rep. 11 novembre 2015;17(12):94.
  7. Gradman AH. Strategies for combination therapy in hypertension. Curr Opin Nephrol Hypertens. settembre 2012;21(5):486–91.
  8. Gradman AH, Cutler NR, Davis PJ, Robbins JA, Weiss RJ, Wood BC. Combined enalapril and felodipine extended release (ER) for systemic hypertension. Enalapril-Felodipine ER Factorial Study Group. Am J Cardiol. 15 febbraio 1997;79(4):431–5.
  9. Campo P, Fernandez TD, Canto G, Mayorga C. Angioedema induced by angiotensin-converting enzyme inhibitors. Curr Opin Allergy Clin Immunol. agosto 2013;13(4):337–44.
  10. Garnock-Jones KP. Irbesartan/amlodipine: a review of its use in adult patients with essential hypertension not adequately controlled with monotherapy. Am J Cardiovasc Drugs Drugs Devices Interv. aprile 2013;13(2):141–50.
  11. Bobrie G, I-ADD Study Investigators. I-ADD study: assessment of efficacy and safety profile of irbesartan/amlodipine fixed-dose combination therapy compared with irbesartan monotherapy in hypertensive patients uncontrolled with irbesartan 150 mg monotherapy: a multicenter, phase III, prospective, randomized, open-label with blinded-end point evaluation study. Clin Ther. agosto 2012;34(8):1720-1734.e3.
  12. Bobrie G, I-COMBINE Study Investigators. I-COMBINE study: assessment of efficacy and safety profile of irbesartan/amlodipine fixed-dose combination therapy compared with amlodipine monotherapy in hypertensive patients uncontrolled with amlodipine 5 mg monotherapy: a multicenter, phase III, prospective, randomized, open-label with blinded-end point evaluation study. Clin Ther. agosto 2012;34(8):1705–19.
  13. Ishimitsu T, Fukuda H, Uchida M, Ishibashi K, Sato F, Nukui K, et al. The therapeutic advantage of combination antihypertensive drug therapy using amlodipine and irbesartan in hypertensive patients: Analysis of the post-marketing survey data from PARTNER (Practical combination therapy of Amlodin and angiotensin II Receptor blocker; safety and efficacy in patients with hypertension) study. Clin Exp Hypertens N Y N 1993. 2015;37(7):542–50.
  14. Parving HH, Lehnert H, Bröchner-Mortensen J, Gomis R, Andersen S, Arner P, et al. The effect of irbesartan on the development of diabetic nephropathy in patients with type 2 diabetes. N Engl J Med. 20 settembre 2001;345(12):870–8.

Autore/i: Claudio Ferri1, Claudio Borghi2, Giovambattista Desideri3

1Professore Ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento MeSVA, Direttore Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Nefrologia, Ospedale San Salvatore dell’Aquila, L’Aquila
2Professore Ordinario di Medicina Interna, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Università di Bologna, Direttore Unità Operativa Complessa di Medicina Interna, Policlinico di Sant’Orsola, Bologna
3Professore Ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento MeSVA, Direttore Unità Operativa Complessa di Geriatria, Ospedale SS Filippo e Nicola, Avezzano

Tabella 1
Tabella 2
Tabella 3
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Autore/i: Claudio Ferri1, Claudio Borghi2, Giovambattista Desideri3

1Professore Ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento MeSVA, Direttore Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Nefrologia, Ospedale San Salvatore dell’Aquila, L’Aquila
2Professore Ordinario di Medicina Interna, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Università di Bologna, Direttore Unità Operativa Complessa di Medicina Interna, Policlinico di Sant’Orsola, Bologna
3Professore Ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento MeSVA, Direttore Unità Operativa Complessa di Geriatria, Ospedale SS Filippo e Nicola, Avezzano

Introduzione

L’ipertensione arteriosa è una condizione presente in più del 30% della popolazione italiana adulta, per la quale rappresenta la principale causa – o comunque una delle principali cause – di malattie cardiovascolari (ictus cerebri, infarto del miocardio, insufficienza cardiaca e/o arteriopatia periferica) e/o renali e/o declino delle funzioni cognitive (1).

Nel trattamento dell’ipertensione, l’aderenza terapeutica e la persistenza in terapia svolgono un ruolo fondamentale nel raggiungimento e nel mantenimento di una pressione arteriosa controllata. A questo proposito, per aderenza terapeutica e persistenza in terapia si intendono, rispettivamente, la capacità dei pazienti di seguire le indicazioni concordate con il medico curante (assumere correttamente i farmaci e seguire uno stile di vita sano) e partecipare attivamente e fedelmente al proprio piano di cura nel lungo periodo. Sia aderenza che persistenza sono essenziali per il singolo paziente iperteso, poiché la gestione efficace dell’ipertensione arteriosa richiede un trattamento che deve forzatamente essere persistente nel lungo termine, ma molti pazienti possono incontrare difficoltà in questo senso, dimenticando di assumere la terapia farmacologica e/o seguire le opportune modifiche dello stile di vita oppure – comunque – risultando non aderenti e/o persistenti per altri motivi.

Per migliorare l’aderenza terapeutica, pertanto, è importante educare i pazienti, fornendo loro le informazioni necessarie per comprendere la loro condizione e semplificando lo schema terapeutico. Sempre, a questo proposito, i medici dovranno operare in collaborazione con i pazienti, al fine di stabilire piani di cura personalizzati, che tengano conto delle esigenze individuali e delle preferenze relative al trattamento.

 

Cosa raccomandano le linee guida in merito all’aderenza terapeutica?

Le linee guida della Società Europea di Cardiologia (European Society of Cardiology; ESC) e della Società Europea dell’Ipertensione (European Society of Hypertension; ESH) del 2018 enfatizzano l’importanza dell’aderenza al trattamento antipertensivo, identificando nella scarsa aderenza la causa principale del controllo insufficiente della pressione arteriosa (2) e, di conseguenza, dell’aumento del rischio cardiovascolare (1). Studi condotti nella popolazione generale di ipertesi hanno rivelato come meno del 50% dei pazienti aderisca correttamente al trattamento antipertensivo (3). Durante un follow-up medio di 6 anni di una coorte di 12.016 individui ipertesi è stato osservato che, rispetto a coloro che interrompevano il trattamento, quelli aderenti alla terapia mostravano un rischio ridotto del 37% di manifestare eventi cardiovascolari (3). Inoltre, rispetto ai pazienti con una copertura farmacologica molto bassa, quelli con copertura intermedia e alta avevano, rispettivamente, una riduzione del rischio del 20% e del 25% – risultati che si applicavano sia agli eventi coronarici che a quelli cerebrovascolari (3).

In questo contesto, l’aderenza al trattamento è fortemente influenzata dal numero di pillole o compresse da assumere quotidianamente. I pazienti che assumono una sola pillola esibiscono un tasso di non-aderenza pari al 10%, frequenza che aumenta al 20% se il paziente deve assumere due pillole, al 40% per tre pillole e livelli molto elevati di non-aderenza parziale o completa nei pazienti che assumono cinque o più pillole (4). Pertanto, la complessità del regime terapeutico influenza negativamente l’aderenza al trattamento e la persistenza in trattamento nel lungo periodo. Da ciò ne consegue che il numero di compresse o pillole quotidiane deve essere sempre tenuto in forte considerazione dai clinici. In accordo con ciò, d’altra parte, le già citate linee guida raccomandano di iniziare sempre il trattamento dell’ipertensione arteriosa con una terapia di combinazione fissa, al fine proprio di migliorare l’aderenza e la persistenza rispetto a regimi terapeutici fondati su combinazioni estemporanee (5,6). Un noto studio di Corrao e colleghi, a questo proposito, ha valutato il rischio di interruzione del trattamento prendendo come riferimento i pazienti che iniziavano con una monoterapia a base di diuretici. Questo studio può vantare un’ampia coorte di pazienti di età compresa tra 40 e 80 anni provenienti da tutto il territorio italiano (n = 474.879), che avevano ricevuto la prima prescrizione di farmaci antipertensivi e la cui persistenza di trattamento è stata esaminata nell’arco di nove mesi. Il rischio di interruzione del trattamento è risultato progressivamente inferiore nei pazienti che iniziavano con una monoterapia diversa da un diuretico, una combinazione di due farmaci, incluso un diuretico, e una combinazione di due farmaci senza diuretico (5).

Lo studio di Corrao e colleghi conferma pienamente come la scarsa aderenza ai farmaci antipertensivi prescritti sia una causa molto frequente di ipertensione arteriosa pseudo-resistente, presente nella maggioranza dei pazienti con pressione arteriosa elevata nonostante la terapia (2). Il trattamento dell’ipertensione apparentemente resistente è, quindi, una sfida clinica che richiede un approccio terapeutico mirato e completo, finalizzato in primissima istanza a garantire aderenza e persistenza. Tale garanzia, come già esplicitato, poggia soprattutto su un regime terapeutico il più semplice possibile: le linee guida raccomandano giustamente l’impiego ab initio di un trattamento di combinazione fissa – cioè in singola compressa contenente più principi attivi – come approccio che facilita la gestione della terapia ed amplifica l’aderenza al trattamento (2). Le linee guida ESC/ESH 2018, in dettaglio, raccomandano l’uso di combinazioni fisse tra un farmaco inibitore del sistema renina-angiotensina (RAS) – ossia sartani (o Angiotensin Receptor Blockers, ARBs) o inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina I (ACE) – con i calcioantagonisti diidropiridinici (Calcium Channel Blockers, CCBs) oppure i diuretici, di norma non dell’ansa (2).

 

Strategie terapeutiche di combinazione nel contesto antipertensivo

La maggior parte dei pazienti ipertesi richiede l’uso contemporaneo di due o più farmaci antipertensivi. La scelta dei farmaci dipende da vari fattori, tra cui la gravità dell’ipertensione, la presenza di altre condizioni e/o la risposta individuale ai farmaci.

Un requisito fondamentale di qualsiasi combinazione fissa antipertensiva è l’evidenza che essa riduca la pressione arteriosa in misura maggiore rispetto ai singoli componenti. In tale contesto, la capacità di ridurre la pressione arteriosa del singolo farmaco antipertensivo può variare di alcuni mmHg, ma l’effetto di due antipertensivi in combinazione può variare notevolmente: alcune combinazioni possono produrre un effetto additivo altre o sinergico (7).

Un altro aspetto importante è la tollerabilità dei farmaci. Alcune combinazioni possono migliorare la tollerabilità, riducendo gli effetti collaterali associati ad un farmaco specifico. Ad esempio, l’aggiunta di un ARB o di un ACE-inibitore ad un diuretico può migliorare la tollerabilità riducendo la comparsa di ipokaliemia. L’aggiunta di un ARB o un ACE-inibitore ad un CCB diidropiridinico può ridurre l’incidenza e la severità dell’edema declive (8,9). L’American Society of Hypertension (ASH) ha emesso linee guida che classificano le combinazioni di due farmaci in categorie “preferibili”, “accettabili” e “meno efficaci”, tenendo conto dell’efficacia nell’abbassamento della pressione e della tollerabilità (Tabella 1) (7). Tuttavia, bisogna sottolineare che l’approccio basato solo ed esclusivamente sulla classe terapeutica potrebbe nascondere importanti differenze tra i singoli farmaci: è fondamentale, dunque, valutare le differenze tra questi all’interno di ciascuna classe terapeutica (7).

Le strategie di approccio terapeutico ai pazienti ipertesi sono mutate nel tempo, e con esse le indicazioni fornite dalle linee guida internazionali. In passato, era comune un approccio graduale che consisteva nell’incremento progressivo del dosaggio della monoterapia fino al raggiungimento della dose massima consentita. Nel tempo, questo metodo si è rivelato poco efficace, oltre che controproducente: il raggiungimento del target pressorio veniva ritardato e il tasso di eventi avversi correlati al trattamento aumentava a causa dell’elevato dosaggio, nel caso di farmaci con effetti collaterali dose-dipendenti come diuretici e beta-bloccanti (7).

 

La combinazione tra irbesartan ed amlodipina

Irbesartan/amlodipina è una combinazione a dose fissa per il trattamento dell’ipertensione arteriosa, efficace in unica somministrazione quotidiana. Essa agisce attraverso gli effetti combinati di irbesartan, un ARB, e amlodipina, un CCB diidropiridinico. Entrambi i farmaci riducono la pressione arteriosa mediante la riduzione delle resistenze periferiche. Tuttavia, i loro meccanismi d’azione sono complementari, vista la calcio-dipendenza della contrazione vascolare angiotensina II-dipendente, garantendo così un effetto sinergico sulla pressione arteriosa quando somministrati insieme (10).

La farmacocinetica sia di irbesartan che di amlodipina appare lineare nell’intervallo terapeutico raccomandato (150 o 300 mg/giorno e 5 o 10 mg/giorno, rispettivamente) e le biodisponibilità di entrambi i farmaci – pari al 95%, nel caso di irbesartan, e al 98%, nel caso di amlodipina – non è influenzata dalla loro somministrazione contemporanea. Infine, l’eliminazione di entrambi i farmaci non viene alterata dalla somministrazione simultanea delle due molecole. La terapia con la combinazione a dose fissa di irbesartan/amlodipina 150-300/5-10 mg al giorno è stata ben tollerata dai pazienti con ipertensione non adeguatamente controllata con monoterapia iniziale di amlodipina o irbesartan. Il profilo di tollerabilità è coerente con quello dei singoli farmaci; l’evento avverso più frequente risulta essere l’edema periferico, spesso associato al trattamento con amlodipina. In particolare, l’efficacia del trattamento con la combinazione a dose fissa di irbesartan/amlodipina per l’ipertensione è stata studiata in due trial clinici di fase III, I-COMBINE e I-ADD, che hanno confrontato la combinazione a dose fissa con la monoterapia di irbesartan e di amlodipina, a seguito dei due trattamenti individuali (11,12).

Dopo un periodo iniziale di monoterapia con irbesartan 150 mg/giorno o amlodipina 5 mg/giorno, i pazienti che soddisfacevano i criteri di ammissione sono stati randomizzati a ricevere la combinazione a dose fissa (irbesartan/amlodipina 150/5 mg/giorno) oppure a continuare la monoterapia per altre 5 settimane. Il dosaggio veniva successivamente aumentato per altre 5 settimane, passando a 300/5 mg/giorno o 150/10 mg/giorno per la combinazione fissa irbesartan/amlodipina, a 300 mg/giorno per la monoterapia con irbesartan e a 10 mg/giorno per la monoterapia con amlodipina 10 (11,12). L’endpoint primario era la valutazione della variazione della pressione sistolica a riposo a domicilio rispetto al basale alla settimana 5 (12) o alla settimana 10 (11), sulla base delle misurazioni effettuate dal paziente negli ultimi 6 giorni di ciascun periodo. Le misurazioni a domicilio venivano effettuate due volte al mattino e due volte alla sera nei giorni di misurazione, dopo un riposo di 5 minuti in posizione seduta.

La terapia con la combinazione a dose fissa di irbesartan/amlodipina 150-300/5-10 mg/giorno è stata più efficace rispetto alla continuazione della monoterapia con irbesartan 150-300 mg/giorno o amlodipina 5-10 mg/giorno sia a domicilio che in ambulatorio (11,12). Questi esiti sono risultati consistenti in entrambi gli studi I-COMBINE e I-ADD dopo 5 e 10 settimane di trattamento, rispettivamente. Inoltre, un maggior numero di pazienti trattati con la combinazione fissa ha raggiunto valori di pressione arteriosa target a domicilio (sistolica < 135 mmHg), così come in ambulatorio (sistolica/diastolica < 140/90 mmHg), rispetto alla monoterapia (Tabelle 2 e 3).

È interessante, inoltre, citare lo studio post-marketing PARTNER (Practical combination therapy of Amlodin and angiotensin II Receptor blocker; Safety and efficacy in paTieNts with hypERtension), che ha valutato l’efficacia e la sicurezza della combinazione tra amlodipina e irbesartan in pazienti ipertesi (13). I pazienti che ricevevano la combinazione dei due farmaci hanno mostrato una significativa riduzione della pressione arteriosa dopo quattro settimane, mantenuta fino a 12 settimane. Circa il 70% dei pazienti ha raggiunto valori di pressione inferiore a 140/90 mmHg. Sono stati osservati miglioramenti nella proteinuria e nella funzione renale, mentre l’acido urico sierico è diminuito. Le reazioni avverse sono state rare e non hanno compromesso la continuazione del trattamento. La terapia combinata con amlodipina e irbesartan è risultata efficace nel ridurre la pressione arteriosa senza problemi di sicurezza particolari e offre benefici renoprotettivi.

Irbesartan aveva già rivelato comprovate evidenze di nefroprotezione in pazienti ipertesi con diabete di tipo 2 e microalbuminuria nello studio IRMA-2 (The Irbesartan in Type 2 Diabetes With Microalbuminuria 2) (14), che ha evidenziato che l’incidenza di nefropatia era significativamente inferiore nei gruppi trattati con irbesartan (150 mg/giorno o 300 mg/giorno) rispetto al gruppo placebo. Irbesartan, inoltre, ha ridotto i livelli di microalbuminuria, con un effetto maggiore osservato nel gruppo con la dose più elevata. Questi risultati suggeriscono come irbesartan ritardi efficacemente la progressione verso l’albuminuria franca nei pazienti ipertesi con diabete di tipo 2 e microalbuminuria, indipendentemente dal suo effetto ipotensivo.

 

Conclusioni

Influendo direttamente sul raggiungimento e il mantenimento di una pressione arteriosa controllata, l’aderenza terapeutica rappresenta un elemento fondamentale nel trattamento dell’ipertensione. I pazienti aderenti alla terapia antipertensiva presentano un rischio ridotto di eventi cardiovascolari rispetto a quelli non aderenti. Tuttavia, dal momento che la complessità del trattamento influisce sull’aderenza, l’uso di combinazioni fisse tra farmaci antipertensivi può semplificarlo, migliorando così la persistenza. In combinazione fissa, irbesartan+amlodipina confermano le comprovate evidenze di efficacia e manifestano un effetto antipertensivo di tipo sinergico. Gli studi di efficacia hanno dimostrato che l’effetto sinergico sulla pressione arteriosa rende la terapia combinata più efficace rispetto alla monoterapia con i singoli principi attivi.

 

 

Bibliografia

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Autore/i: Claudio Ferri1, Claudio Borghi2, Giovambattista Desideri3

1Professore Ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento MeSVA, Direttore Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Nefrologia, Ospedale San Salvatore dell’Aquila, L’Aquila
2Professore Ordinario di Medicina Interna, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Università di Bologna, Direttore Unità Operativa Complessa di Medicina Interna, Policlinico di Sant’Orsola, Bologna
3Professore Ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento MeSVA, Direttore Unità Operativa Complessa di Geriatria, Ospedale SS Filippo e Nicola, Avezzano

Tabella 1
Tabella 2
Tabella 3

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