Salute pubblica o Mojito?
Claudio Borghi
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna
Il periodo storico che stiamo vivendo ha fatto emergere una serie di aspetti della nostra società, alcuni edificanti e sicuramente lodevoli e altri che sono espressione di quali comportamenti egoistici ed individualisti dai quali la nostra società è pervasa da circa un ventennio, da quando cioè il senso della Res Publica ha abdicato politicamente ad una visione di vacuo successo individuale promosso da alcuni modelli di uomini pubblici e di media improntati al concetto nazional-popolare nelle sue accezioni più deleterie e voyeuristiche.
Uno dei momenti di maggiore evidenza di questa deriva individualistica della nostra vita è rappresentata dall’incessante dibattito sulla opportunità di incentrare le misure di prevenzione da COVID-19 sulla protezione della popolazione e della salute pubblica oppure su quelle del patrimonio economico e lavorativo a tutti i costi. È evidente che entrambi questi aspetti sono di primaria importanza ed una strategia di intervento efficace dovrebbe essere in grado di embricarli in una unica linea di azione che salvaguardi soprattutto aspetti primari della vita pubblica quali il lavoro, la istruzione e la protezione della salute pubblica.
Naturalmente, il raggiungimento di tale triplice risultato richiede una grande dose di competenza politica e, soprattutto, una vocazione alla rinuncia individuale per tutto ciò che potrebbe complicare il raggiungimento dello scopo in quanto in grado di produrre un impatto sfavorevole a fronte di un risultato personale improntato a grande futilità. In poche parole, se dobbiamo rischiare una contenuta crescita del contagio da coronavirus per riaprire le scuole credo che lo si possa fare senza problemi mentre rifletterei con attenzione sulla giustificazione etica relativamente ai luoghi di assembramento della cosiddetta “movida” (parola che è l’esempio della mistificazione del concetto di sociale in senso di rapporti tra individui) che producono solo contatti a rischio per persone che si parlano in modo ravvicinato, senza DPI per potere ingurgitare alcool e spesso parlando ad alta voce perchè lo stordimento alcolico e il rumore di fondo, spesso diffuso a tonnellate di watt, impone di gridare a pochi centimetri di distanza per potersi fare ascoltare. Diversa è naturalmente la situazione dei ristoranti ordinati dove distanziamento, discrezione e misure di protezione ambientali possono permettere di abbattere pressochè totalmente il rischio di infezione e di svolgere un servizio tanto gradevole quanto giustificato dopo molti mesi di chiusura. Tuttavia, in questa complessa realtà di richieste di ritorno ad una vita normale, sono proprio coloro che affollavano gli ambienti più futilmente rischiosi ad apparire più indignati perchè si vedono sottratto un diritto che ritengono superiore alla salute pubblica in quanto espressione della libertà di azione.
Quindi ricompaiono le feste clandestine, i rave party, le false manifestazioni di piazza che vogliono dare una parvenza di protesta sociale ad un assembramento qualunquistico e molte altre attività delle quali abbiamo sentito parlare nei giorni scorsi, e che possono rappresentare il nucleo esplosivo di una ripresa del contagio in quanto coinvolgono proprio quelle categorie demografiche che non sono ancora in vista del loro turno vaccinale.
Quindi viva il Mojito a tutti i costi e che cosa importa delle necessità della popolazione una volta che ho soddisfatto le mie necessità elementari.
Ora, tutto questo che cosa ha a che vedere con la professione medica e con un giornale nel quale si parla di medicina e di fattori di rischio prevalentemente cardiovascolari? In senso stretto nulla, se si esclude l’effetto deleterio di alcool e fumo sulle nostre arterie e sul nostro cuore, ma in senso lato moltissimo in quanto le conseguenze di ogni ricrescita del contagio e dell’incremento del numero di pazienti coinvolti ricade sempre e comunque sui medici, non-medici e sugli ospedali che senza avere alcuna possibilità di agire sulle scelte politiche improntate a maggiore o minore libertà di azione (il CTS governativo non è rappresentativo in alcun modo della professione medica intesa in senso clinico) sono chiamati ad attivarsi, a modificare la propria geometria e a porre sistematiche limitazioni alla vita privata di persone che non hanno contribuito a generare il problema, ma sono i soli che ineluttabilmente ne subiscono le conseguenze. Quindi ci troviamo a giocare una partita su un singolare tavolo da gioco sul quale qualcuno azzarda puntando denaro altrui nella certezza che il costo della posta verrà pagato da qualcuno che non partecipa al gioco.
Credo che questo ruolo possa e debba essere accettato dal personale della Sanità quando il problema esplode in maniera imprevedibile e inevitabile, ma quando le ragioni stanno nel desiderio di soddisfare esigenze che non sono dettate dalla convivenza ma frutto di una scelta di vita personale ed egoistica, ci sia la necessità assoluta di ascoltare in maniera più approfondita le ragioni di chi paga da mesi un conto molto salato in modo da considerare tra i criteri di scelte e decisioni anche la natura del rapporto tra presunta libertà e utilità dell’impiego della stessa che nel caso del Mojito all’aperto appare nettamente in svantaggio rispetto alla salute pubblica.
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