Introduzione
È ben noto che la gestione dei lipidi nella pratica quotidiana differisce da quanto raccomandato dalle linee guida. Questo problema era già stato chiaramente evidenziato dallo studio EUROASPIRE (European Action on Secondary and Primary Prevention by Intervention to Reduce Events) in prevenzione secondaria. Questa survey aveva evidenziato che il 71% di questi pazienti a rischio molto alto avevano valori di colesterolo LDL (LDL-C) ben superiori a quelli fissati nel 2016 dalle linee guida della Società Europea di Cardiologia/Società Europea di Aterosclerosi (ESC/EAS) (1,2).
La mancanza di consapevolezza delle raccomandazioni delle linee guida era stato evidenziato come un fattore che potenzialmente contribuiva ad una non ottimale gestione del profilo lipidico. Nel 2019, l’ESC/EAS ha aggiornato le linee guida per la gestione dei lipidi (3), tenendo ovviamente conto delle evidenze emerse dagli studi con ezetimibe (IMPROVE-IT) (4) ed anticorpi monoclonali PCSK9 (FOURIER e ODYSSEY OUTCOMES) (5,6). Di conseguenza, gli obiettivi di LDL-C sono stati ulteriormente abbassati per pazienti a rischio cardiovascolare da moderato a molto alto. Inoltre, sempre nei pazienti a rischio alto e molto alto è stato aggiunto l’obiettivo di una riduzione dei valori di LDL-C di almeno il 50% rispetto al basale (Tabella 1).
Le linee guida ESC/EAS del 2019 hanno anche riconosciuto il rischio alto-molto alto di alcuni gruppi di pazienti in prevenzione primaria, quali i diabetici o i pazienti con ipercolesterolemia familiare (FH) senza malattia cardiovascolare aterosclerotica accertata, o quelli con malattia renale cronica (3). Rimanendo le statine il farmaco di prima scelta, le linee guida raccomandano anche la combinazione con farmaci non statinici per raggiungere i nuovi rigorosi obiettivi di LDL-C. Che queste nuove raccomandazioni siano state implementate nella pratica clinica a livello internazionale è tutt’altro che scontato.
Il trial DA VINCI
Lo Studio “DA VINCI” è un trial osservazionale multicentrico che ha coinvolto 18 nazioni, tra cui l’Italia, con lo scopo di fornire dati attuali sul raggiungimento delle raccomandazioni delle Linee Guida europee per la terapia ipolipemizzante in diversi contesti e popolazioni, e nello stesso tempo valutare quale possa essere una strategia efficace per raggiungere il target di LDL-C in base al profilo di rischio. Principale obiettivo dello studio era valutare le modalità con cui erano trattati i pazienti e se la terapia in atto consentisse loro di raggiungere i target indicati dalle Linee Guida (7).
Tra giugno 2017 e novembre 2018 sono stati arruolati 5888 pazienti (300 in Italia), di cui 3000 in prevenzione primaria e 2888 in prevenzione secondaria, tutti in terapia ipolipemizzante; i dati, tra cui i livelli di LDL-C più recenti e quelli dosati nei 12 mesi precedenti, sono stati raccolti in un’unica visita. In prevenzione secondaria sono stati arruolati pazienti che avevano avuto un evento acuto cardiovascolare: un infarto miocardico nel 22% dei casi e un ictus nel 41% circa dei casi, mentre poco meno del 40% era rappresentato da pazienti con un’arteriopatia periferica. Nel 40% dei casi i pazienti erano anche diabetici.
L’età media era di 68 anni. Nella maggior parte dei casi i pazienti erano in terapia con statine, anche se solo il 37% con statine ad alta intensità, nel 9% dei casi la statina era associata ad ezetimibe e una minima percentuale di pazienti, l’1%, assumeva un inibitore del PCSK9.
I risultati del trial DA VINCI
I risultati sono stati decisamente sconfortanti. L’obiettivo primario nella popolazione totale, cioè il conseguimento del target di LDL-C sulla base del rischio suggerito dalle Linee Guida dell’European Society of Cardiology (ESC)/European Atherosclerosis Society (EAS) 2016, è stato raggiunto nel 54% dei pazienti. Il target di LDL-C proposto secondo il livello di rischio dalle Linee Guida ESC/EAS 2019 è stato invece raggiunto solo dal 33% dei pazienti.
Ancor più scoraggiante, solo il 39% dei pazienti in prevenzione secondaria ha raggiunto il target delle Linee Guida del 2016, vale a dire inferiore a 70 mg/dl. Se si considerano poi le nuove indicazioni del 2019, solo il 18% ha raggiunto un valore inferiore a 55 mg/dl (Figura 1).
I pazienti in terapia con PCSK9 hanno raggiunto il target con maggior frequenza, raggiungendo il target delle Linee Guida del 2016 nel 67% dei casi e il target del 2019 nel 58% rispetto ai pazienti in terapia con statine più ezetimibe che si sono fermati al 54% per quanto riguarda il target di 70 mg/dl e addirittura solo al 21% nel caso del target 55 mg/dl.
Tra i pazienti in terapia cronica con farmaci ipolipemizzanti i valori medi di LDL-C erano 98 mg/dl per quelli in prevenzione primaria e rispettivamente 78, 85 e 85 mg/dl in quelli con malattia coronarica, arteriopatia periferica e malattia ischemica cerebrale (Figura 2).
In base ai dati per il calcolo del rischio, l’82% dei pazienti in prevenzione secondaria aveva una probabilità superiore al 20% di avere un nuovo evento cardiovascolare entro 10 anni ed il 31% addirittura superiore al 40% nonostante la terapia ipolipemizzante. Al contrario, la maggior parte (67%) dei pazienti in prevenzione primaria erano a rischio da basso a moderato, con solo il 4% classificato come a rischio molto alto in base alla carta del rischio SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation).
Che cosa ci insegna lo studio DA VINCI?
Il messaggio più chiaro che emerge dallo studio DA VINCI è che i clinici devono cambiare il loro modo di pensare rispetto a come gestiscono nella pratica quotidiana i loro pazienti, soprattutto quelli a rischio alto e molto alto. Questo aspetto era in realtà già emerso da studi che avevano valutato il raggiungimento degli obiettivi di LDL-C in base alle linee guida ESC/EAS 2016. Ad esempio, nei 5070 pazienti con sindrome coronarica cronica arruolati nel recente registro nazionale START (STable Coronary Artery Diseases RegisTry) un livello target di LDL-C < 70 mg/dl raccomandato dalle linee guida ESC 2016 è stato raggiunto solo nel 58,1% della popolazione a rischio molto alto (8). Ma con gli obiettivi di LDL-C più rigorosi introdotti dalle linee guida ESC/EAS 2019 il mancato raggiungimento dei targets suggeriti è ancor più evidente.
Di certo un fattore che contribuisce a tale fallimento è la mancata ottimizzazione dell’uso della terapia con statine ad alta intensità. È tuttavia chiaro che il target ESC/EAS 2019 per LDL-C nei pazienti ad alto rischio è in gran parte irraggiungibile con la monoterapia con statine ad alta intensità; tali pazienti richiedono una terapia di combinazione.
Nella pratica quotidiana dovremmo quindi sempre valutare il rischio del paziente e, se l’obiettivo di LDL-C è < 55 mg/dl ed i valori di partenza molto elevati, dovremmo considerare l’uso precoce della terapia di combinazione con ezetimibe come suggerito dall’algoritmo ESC/EAS 2019.
Lo studio DA VINCI evidenzia infatti come molti pazienti a rischio molto alto richiederanno probabilmente una terapia combinata con inibitori PCSK9. In tale contesto, dallo studio Heymans è recentemente arrivata una ulteriore conferma sulle possibilità offerte dagli inibitori del PCSK9 di raggiungere corretti livelli di colesterolo e conseguentemente ridurre il rischio di nuovi episodi cardiovascolari acuti (9).
In questo studio osservazionale in undici Paesi Europei, inclusa l’Italia, sono stati arruolati oltre 1800 pazienti a rischio molto alto che, in una quota >85% dei casi, avevano subìto un evento cardiovascolare e che avevano un colesterolo LDL medio di 150 mg/dl, un valore molto alto relativamente al loro profilo di rischio.
La terapia con evolocumab ha consentito di ridurre il colesterolo LDL di circa il 60%; un dato rilevante che conferma come anche nella reale pratica clinica questi farmaci siano oggi i più potenti nella riduzione del colesterolo LDL, con un effetto che si mantiene inalterato nel tempo come abbiamo imparato anche dei trial clinici.
Tuttavia, sebbene efficace, l’uso della terapia aggiuntiva con anticorpi monoclonali PCSK9 nella pratica clinica ha problemi pratici, come i costi e le conseguenti difficoltà di rimborso. Inoltre, molti clinici potrebbero essere condizionati sfavorevolmente dal raggiungimento di valori di LDL-C molto bassi nei loro pazienti.
Cosa si potrebbe dunque fare in aggiunta per migliorare questi risultati insoddisfacenti nella gestione del profilo lipidico nei nostri pazienti a rischio alto-molto alto? Indubbiamente i pazienti dovrebbero avere un rapporto più costante con gli specialisti. Una relazione con il medico che si mantiene nel tempo aiuterebbe i pazienti a comprendere meglio come la continuità terapeutica sia il primo passo per raggiungere i corretti livelli di colesterolo e di conseguenza ridurre il rischio di ricadute in termini di infarti, ictus o altri eventi cardiovascolari (10).
Conclusioni
Lo studio DA VINCI ha chiaramente evidenziato le difficoltà nella gestione ottimale del LDL-C nella pratica quotidiana, sia in prevenzione primaria che, soprattutto, secondaria. Per migliorare questa insoddisfacente realtà sono essenziali programmi educativi, supportati dalle diverse società scientifiche, per migliorare l’implementazione nella pratica clinica delle raccomandazioni delle linee guida ESC/EAS 2019 per la gestione dei lipidi.
In Europa, dove ci sono circa 22 milioni di pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica, l’estrapolazione dei dati DA VINCI suggerisce che ben 18 milioni di pazienti non raggiungeranno gli obiettivi di LDL-C delle linee guida ESC/EAS 2019 (10), a meno che non si prendano misure per avviare da subito la terapia di combinazione, inclusi gli anticorpi monoclonali PCSK9, per quelli con i livelli di rischio più alti e nei quali gli obiettivi di LDL-C raccomandati sono decisamente più bassi.
Bibliografia
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