Il fenomeno ipertensione arteriosa è, in Italia, giunto a livelli davvero preoccupanti e, ormai, intollerabili per il sistema sanitario e la salute dei cittadini. Il numero di residenti affetto da questa patologia, infatti, è verosimilmente ormai molto lontano da quel 15 milioni che pensavamo avesse rappresentato la sua massima espansione, rasentando e forse superando l’enorme cifra di 18 milioni circa (Figura 1) (1). Ciò è legato sia ad incremento assoluto di incidenza e prevalenza dell’ipertensione arteriosa, sia all’invecchiamento della popolazione assistita e censita (Figura 2) (2).
A fronte di questo incremento numerico, l’attenzione dedicata al raggiungimento del buon controllo pressorio non sembra essere aumentata. Al contrario, anzi, sembra osservarsi nella nostra penisola e, più in generale, in Europa tutta, una pericolosa inversione di tendenza. Come si può vedere analizzando la Figura 3, infatti, precedentemente alle Linee Guida ESC/ESH del 2018 (3) la situazione relativa a consapevolezza e controllo dell’ipertensione arteriosa erano certamente insoddisfacenti, ma in evidente e progressivo miglioramento. Successivamente alla pubblicazione delle Linee Guida, invece, vuoi per l’invecchiamento della popolazione, per l’incremento assoluto del numero di pazienti ipertesi e per una minore attenzione alla problematica, vuoi per la modificazione verso il basso – suggerita dalle stesse Linee Guida – degli obiettivi pressori idonei a definire un paziente iperteso come “ben controllato”, sembra essersi verificata una sorta di ritirata non strategica, con evidente incremento dei pazienti che non sanno di essere ipertesi oppure lo sanno, ma sono trattati in modo non efficiente (5). Questo supporta il convincimento che il pianeta ipertensione arteriosa – in assenza ormai atavica della spinta propulsiva promossa da farmaci innovativi (l’ultimo nuovo ingresso, come si ricorderà, è stato quello dell’inibitore della renina aliskiren, registrato nel lontano marzo del 2007) (6) – possa essere governato solo riprendendo bene in mano i fili che erano stati perfettamente tessuti dalla Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa nel recente passato. Oltre a ciò, appare assolutamente necessario che il medesimo pianeta ipertensione diventi punto cruciale di interesse e fondamentale obiettivo non soltanto per lo specialista che lavora presso un ambulatorio oppure un centro accreditato ufficialmente dalla già citata Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa, bensì anche dagli altri specialisti, nonchè per la Medicina di Famiglia. In aggiunta, un punto assolutamente nodale, senza il quale sarà impossibile uscire dalla palude generata dalla drammatica diade:
“non misuro la mia pressione arteriosa perché non mi sento male e non so dire se sono iperteso oppure no” e/o
“ho la pressione arteriosa elevata, lo so, ma continuo ad essere un paziente iperteso non controllato”,
è porre il paziente iperteso realmente al centro del processo diagnostico-terapeutico, in una certa qual misura “pretendendo” la sua partecipazione attiva al suddetto processo. In questo ambito, la partecipazione attiva delle farmacie territoriali deve divenire un caposaldo nel follow up del paziente iperteso, particolarmente in presenza di altre patologie che ne complichino il quadro clinico e ne rendano quindi più complesso il raggiungimento dell’obiettivo pressorio. Attraverso le farmacie, infatti, è possibile arrivare quasi capillarmente ai pazienti ipertesi, senza costringerli al controllo della pressione arteriosa – ed alle eventuali modulazioni terapeutiche considerate necessarie – solo in presenza del medico. Questi, infatti, potrà operare dette modifiche sulla scorta di un valore pressorio rilevato dal farmacista – senza liste di attesa ed in un ambiente confortevole e vissuto come “familiare” – ricevendole sia in forma scritta attraverso il tradizionale “cartoncino”, sia grazie alla telemedicina. Esemplare, in questo ambito, il recente progetto TEMPLAR, sviluppato in Italia grazie ad una rete di ipertensiologi e di farmacisti. Nell’ambito del progetto, in particolare, sono stati registrati monitoraggi ambulatori della pressione arteriosa – sempre mediante apparecchi rigorosamente validati – informando il farmacista quasi in tempo reale nel caso di problematiche tecniche inficianti la corretta misurazione (7). Nell’ambito del progetto TEMPLAR, sono stati così ottenuti ben 45.232 monitoraggi pressori in 812 farmacie territoriali, giudicati validi in una percentuale elevatissima di casi (87.7%). Grazie al progetto TEMPLAR, è stato possibile scoprire molti pazienti affetti da ipertensione arteriosa “da camice bianco” ed altrettanti da ipertensione arteriosa ben controllata, però nell’ambulatorio del medico o con l’automisurazione, ma non nel contesto delle 24 ore (cosiddetta “ipertensione mascherata”). Tutto ciò è potuto accadere senza fare defatiganti file e senza un particolare impegno, vuoi economico, vuoi di altro tipo, per il paziente, implementando in maniera rigorosa e significativa la possibilità di raggiungere il buon controllo pressorio, anche in pazienti complessi.
In questo medesimo ambito, senza arrivare alla misurazione nel contesto delle 24 ore, d’altra parte, anche la misurazione della pressione arteriosa in farmacia costituisce un presidio validissimo per migliorare il controllo pressorio e la consapevolezza relativa al proprio stato tensivo (8). Testimonianza di ciò è un secondo studio italiano, denominato “Abbasso la Pressione”, nato dalla fruttuosa collaborazione tra Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa e farmacisti italiani, grazie alla quale è stato possibile misurare la pressione arteriosa in 47.217 pazienti, tra cui 12.1% (n.5.695) diabetici, talvolta sottopeso [n.42 tra i diabetici (0.7%) e n.975 tra i non diabetici (2.3%)], ma più spesso obesi [grado 1 n. 1264 tra i diabetici (22.2%) e n. 5075 (12.2%) tra i non diabetici; grado 2, n. 330 tra i diabetici (5.8%) e n.1.114 tra i non diabetici (2.7%); grado 3 n. 133 tra i diabetici (2.3%) e n.293 tra i non diabetici (0.7%)] non raramente dislipidemici [n. 2686 tra i diabetici (47.2%) e n. 12.636 tra i non diabetici (30.4%)], sovente in prevenzione secondaria e/o affetti da malattia renale cronica [n. 1.495 tra i diabetici (26.3%) e n. 4613 tra i non diabetici (11.1%)]. Una fotografia, pertanto, della vita reale italiana, da cui risultava un quadro desolante per quanto attiene non solo il rischio cardiovascolare medio rilevabile nella nostra popolazione ipertesa [rischio cardiovascolare a 10 anni, valutato secondo il punteggio SCORE (9), cioè quello usato nelle Linee Guida ESC/ESH (3): ≤ 2% in n.0 pazienti diabetici (0.0%) ed in n.29.269 pazienti non diabetici (70.6%), tra il 3 ed il 9% in n. 4.155 pazienti diabetici (72.9%) ed in n.7.640 pazienti non diabetici (18.4%) e, infine, ≥ 10% in n. 1.540 diabetici (27.1%) e n. 4.613 non diabetici (11.0%)], bensì anche per il livello di controllo pressorio, ottimale in appena un terzo dei pazienti ipertesi, a fronte però di un trattamento farmacologico prescritto a circa l’80% degli stessi (Figura 4).
Ciò permette – grazie ad un tempo stimato in 3 minuti per singolo paziente – di approcciare in modo corretto ed empatico ad un paziente della vita reale e, come tale, affetto da una moltitudine di fattori di rischio, ma non incluso in uno specifico protocollo di studio sperimentale o, comunque, non inserito in un contesto clinico che ne consenta la cura più intensiva.
Di particolare rilevo, in questo ambito, sono le informazioni di tipo “non farmacologico” che lo studio “Abbasso la Pressione !” ha consentito di rilevare, grazie all’uso di un rapido questionario somministrato dai farmacisti, relativamente alle possibili concause conducenti all’insufficiente controllo pressorio manifestato dalla grande maggioranza degli ipertesi trattati. Sicuramente, infatti, un ruolo consistente lo avevano le patologie multiple associate all’ipertensione arteriosa, prime tra tutte il tabagismo, il diabete mellito e l’obesità (Figura 5), ma un ruolo tutt’altro che secondario era giocato da uno stile di vita assolutamente non corretto – sigarette a parte – principalmente rappresentato da una dieta esageratamente ricca in proteine e zuccheri e povera in frutta e verdure, da una sostanziale inattività fisica e, ultimo, ma non per ultimo, da un uso di sale da cucina non in linea con una corretta prevenzione cardiovascolare.
Come è facile rilevare, a chiusa finale di questa esposizione, il ruolo dello specialista, soprattutto di quello afferente a centri di elevata specializzazione nel contesto ipertensiologico, e del medico di famiglia è irrinunciabile e nessuno vuole alienarne in alcun modo le potenzialità. Proprio perché tali potenzialità, tuttavia, sono ancora – purtroppo – inespresse, come testimoniato dal regredire progressivo della accettabile, pur se certamente migliorabile, situazione relativa al controllo pressorio che si era raggiunta in precedenza, il clinico ha bisogno del soccorso in prima persona del paziente, dei suoi familiari e delle farmacie territoriali. È grazie a loro che è possibile far suonare con tempestività tutti i campanelli di allarme possibili e suggerire al clinico ed al paziente i rimedi più idonei, tanto nel contesto della terapia farmacologica, quanto in quella dell’adozione di un corretto stile di vita.
Bibliografia
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