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Comment to Gianfranco Sinagra1, Aldostefano Porcari1,2, Mario Chiatto3, Davide Stolfo1,4

1 Centro per la Diagnosi e Cura delle Cardiomiopatie, Dipartimento Cardiotoracovascolare, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano-Isontina (ASUGI), Università di Trieste 2 National Amyloidosis Centre, Division of Medicine, University College London, Royal Free Campus, Rowland Hill Street, London NW3 2PF, UK 3 UOC di Cardiologia, UTIC, Ospedale Civile dell’Annunziata, Cosenza, Italy 4 Division of Cardiology, Department of Medicine, Karolinska Institutet, Stockholm, Sweden 1. L’ipertensione arteriosa: eziopatologia e focus sul sistema adrenergico

1. L’ipertensione arteriosa: eziopatologia e focus sul sistema adrenergico

L’ipertensione arteriosa viene definita come la rilevazione di una pressione arteriosa sistolica (SBP) > 140mmHg e/o diastolica >90mmHg (DBP) (1). Sulla base delle multifattoriali origini eziopatologiche dell’ipertensione arteriosa si distingue generalmente fra ipertensione primitiva e secondaria. Quest’ultima, trova origine in condizioni mediche preesistenti come stenosi dell’arteria renale o iperaldosteronismo primitivo; in questo caso, il trattamento è mirato all’eliminazione della causa di ipertensione sottostante (2). L’ipertensione primitiva (o essenziale), invece, solitamente origina da un errato stile di vita e/o predisposizioni genetiche e rappresenta il 90-95% di tutti i casi di ipertensione diagnosticati: essa viene quindi trattata tramite modifiche dello stile di vita e l’assunzione di farmaci antipertensivi, qualora necessario.

Tra i vari fattori coinvolti nell’insorgenza dell’ipertensione, è importante citare obesità, stress e eccessiva assunzione di alcol e sale, che concorrono ad alterazioni dei sistemi di ritenzione e escrezione del sodio, disfunzione endoteliale e attivazione del sistema nervoso simpatico (SNS) e del tono adrenergico (3). L’attivazione del SNS, mediata da elevati livelli di catecolamine circolanti, porta infatti ad un incremento sia della frequenza e contrattilità cardiaca sia della funzionalità del RAAS (Sistema renina-angiotensina-aldosterone) causando quindi ritenzione di acqua e sodio e vasocostrizione periferica (3).

Le principali catecolamine coinvolte nell’attivazione del tono adrenergico sono i neurotrasmettitori adrenalina e noradrenalina, che esercitano il loro effetto legandosi a specifici recettori adrenergici di superficie, suddivisi in  e 4). In particolare, l’attivazione dei recettori 1 adrenergici, localizzati nei vasi sanguigni periferici, porta alla loro costrizione. Allo stesso modo, l’attivazione del recettore 2, localizzato principalmente nella muscolatura liscia bronchiale e dei grandi vasi periferici, conduce a contrazione muscolare e conseguente costrizione bronchiale e vasale (4). Il recettore 3, invece, risulta essere principalmente localizzato nel tessuto adiposo, dove sembra svolgere il ruolo di attivazione di lipasi che agiscono sui trigliceridi di deposito (5).

Il muscolo cardiaco esprime tutti e 3 i recettori appartenenti alla famiglia dei recettori -adrenergici, che rivestono il ruolo di regolazione della frequenza e della contrattilità cardiaca in risposta ad adrenalina e noradrenalina; tuttavia, il recettore -adrenergico con una selettiva predominanza nel muscolo cardiaco risulta essere il 1 (6).

Riassumendo, l’attivazione dei recettori adrenergici comporta una varietà di effetti cardiovascolari come un’azione ionotropa, cronotropa e lusitropa positiva a livello del muscolo cardiaco (aumento della contrattilità, frequenza e velocità di rilassamento) e una costrizione dei vasi periferici, che concorrono certamente all’eziopatogenesi e al mantenimento dell’ipertensione arteriosa.

Tuttavia, il sistema adrenergico non è il solo contribuente al tono e alla costrizione vascolare; infatti, l’endotelio stesso è in grado di produrre, in risposta a stimoli fisiologici o patologici, una serie di mediatori vasocostrittori o dilatatori. Fra questi ultimi, è utile ricordare in particolar modo l’ossido nitrico (NO) che gioca un ruolo principale nella regolazione del tono vascolare e della pressione arteriosa.

2. Farmaci antipertensivi: classe dei β-bloccanti

I -bloccanti sono una classe di farmaci utilizzata da più di 30 anni nella terapia antipertensiva (7). Nonostante siano accomunati dal meccanismo d’azione, in quanto antagonisti di recettori adrenergici, le molecole appartenenti a questa classe si differenziano marcatamente per diversi parametri che impattano sull’effetto clinico: il profilo di selettività d’azione per 1 e 2, l’eventuale attività simpaticomimetica intrinseca, il differente grado di solubilità che influisce sull’assorbimento a livello del sistema nervoso centrale, il profilo farmacocinetico e proprietà aggiuntive di agonismo inverso o di vasodilatazione (7).

Esistono 3 generazioni di farmaci -bloccanti, col tempo introdotte nella pratica clinica (7). La prima generazione include molecole che non presentano un’affinità selettiva per 1 o 2; di conseguenza, a causa dell’azione antagonizzante su 2 a livello periferico, l’utilizzo di questa generazione di farmaci causa comuni e rilevanti effetti collaterali come il broncospasmo, la vasocostrizione periferica (causa di sensazione di arti freddi e disfunzione erettile) e l’aumento di peso (dovuto all’antagonismo dei recettori 2 a livello del pancreas) (6,7). Gli effetti collaterali appena citati non solo incidono in modo rilevante sulla qualità della vita dei pazienti, ma sono anche alla base della controindicazione di questa generazione di -bloccanti per il trattamento dell’ipertensione in pazienti con alterazioni metaboliche o asmatici. Dall’esigenza di evitare gli effetti collaterali dovuti dall’antagonismo dei recettori 2, mantenendo però l’azione antipertensiva a livello cardiaco data dal blocco dei recettori 1, sono nati i farmaci -bloccanti di seconda generazione, caratterizzati da una selettività superiore (ma non assoluta) e dose-dipendente per il recettore 1 e quindi meglio tollerati, soprattutto nei pazienti respiratori o con patologie vascolari periferiche (7). La terza generazione di -bloccanti, invece, è composta da molecole sia selettive sia non selettive per 1 che però possiedono proprietà addizionali (7) (come la capacità vasodilatatoria di stimolare la produzione di NO) che devono essere prese in considerazione per ottimizzare una terapia di tipo personalizzato.

Inoltre, come già accennato, alcuni farmaci -bloccanti possiedono un’attività simpaticomimetica intrinseca (ISA), ovvero una residua capacità di stimolare l’attività basale dei -recettori, agendo come agonisti parziali in assenza di catecolamine (7); questa caratteristica può diventare funzionale qualora fosse necessario limitare una condizione di eccessiva bradicardia a riposo.

Infine, alcune molecole appartenenti alla classe dei -bloccanti, possono esercitare un meccanismo d’azione da agonista inverso (7): in questo caso, a differenza degli antagonisti competitivi che si sostituiscono al ligando endogeno, le molecole possono agire inibendo l’attività recettoriale basale anche in assenza di catecolamine.

Tutte le proprietà presentate, quindi, entrano in gioco nel definire il profilo di un -bloccante, in un’ottica di terapia centrata sulle esigenze e caratteristiche cliniche del paziente. Da ricordare, infine, che secondo le linee guida europee, l’utilizzo dei -bloccanti nel trattamento dell’ipertensione è particolarmente raccomandato in specifiche condizioni, come in presenza di una evidente ed eccessiva stimolazione simpatica.

3. NEBIVOLOLO

3.1 Indicazioni e posologia

Il Nebivololo è una molecola -bloccante sviluppata negli anni ’80 e introdotta nella pratica clinica in Europa nel 1997 (8). Le indicazioni terapeutiche approvate per il Nebivololo sono per il trattamento di:

• Ipertensione essenziale;

• Scompenso cardiaco cronico stabile di grado lieve e moderato in aggiunta alle terapie standard nei pazienti anziani di età ≥ 70 anni.

Riguardo al trattamento dell’ipertensione, il Nebivololo somministrato a dose singola gionaliera riduce la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa, a riposo e durante esercizio, sia in soggetti normotesi che in pazienti ipertesi. La posologia indicata prevede l’assunzione di 5 mg al giorno, possibilmente mantenendo sempre lo stesso orario.

L’effetto antipertensivo del Nebivololo è evidente dopo 1-2 settimane dall’inizio del trattamento e, nonostante possano essere necessarie 4 settimane per il raggiungimento della risposta ottimale, esso si mantiene durante il trattamento cronico. Come gli altri -bloccanti, il Nebivololo può essere utilizzato in monoterapia o in associazione; nebivololo è disponibile anche in associazione precostituita con idroclorotiazide (12,5-25 mg), combinazione con documentata evidenza di efficacia antipertensiva addizionale (9).

Per quanto riguarda il trattamento dello scompenso cardiaco, invece, la somministrazione di Nebivololo deve prevedere una graduale titolazione della dose. L’iniziale aumento del dosaggio deve essere effettuato ad intervalli di 1-2 settimane in base alla tollerabilità del paziente, come segue: 1,25 mg di Nebivololo, da aumentare a 2,5 mg una volta al giorno, poi a 5 mg una volta al giorno e successivamente a 10 mg una volta al giorno. La dose massima raccomandata è di 10 mg di Nebivololo una volta al giorno. La dose massima raccomandata potrebbe non essere tollerata da tutti i pazienti. Se necessario, il dosaggio raggiunto può essere anche diminuito gradualmente e poi adeguatamente rimodulato in base alle specifiche esigenze del paziente.

3.2 Meccanismo d’azione

Il Nebivololo appartiene alla terza generazione di -bloccanti e, infatti, possiede non solo un’elevata selettività per 1, ma anche proprietà vasodilatatorie (8).

In particolare, il Nebivololo è la molecola, rispetto ai -bloccanti di generazioni precedenti, con più alta selettività per 1 (8,10); inoltre, non sembra possedere né ISA né antagonismo -adrenergico (8).

La struttura del Nebivololo è caratterizzata da moderata lipofilia e dalla presenza di centri chirali: infatti, esso viene somministrato come racemato di due enantiomeri (D-nebivololo e L-nebivololo, Figura 1) che possiedono attività farmacologiche diverse (8).

Il D-nebivololo è il responsabile dell’attività a livello cardiaco e renale di antagonismo competitivo di 1, per il quale risulta 175 volte più affine rispetto al suo enantiomero L-nebivololo. Quindi, il D-nebivololo media, attraverso il blocco del recettore 1, l’azione cronotropa, inotropa e lusitropa negativa nel muscolo cardiaco e la riduzione del rilascio di renina (con conseguente riduzione dell’attivazione del RAAS) a livello dell’apparato iuxtaglomerulare (8).

Invece, l’L-nebivololo è coinvolto nel rilascio di NO da parte dell’endotelio, conferendo al farmaco attività vasodilatatoria (8,11–14); nonostante questo effetto sia stato dimostrato in diversi studi, l’esatto meccanismo d’azione sottostante rimane non chiaro. Tuttavia, l’opzione più accreditata, sembra essere quella riguardante un aumento dell’attività dell’enzima produttore di NO a livello endoteliale (ossido nitrico sintasi endoteliale, eNOS) e il conseguente incremento del rilascio di NO. Gli effetti principali derivanti dall’aumento dei livelli di NO sono la vasodilatazione (14), mediata da un decremento dei livelli di calcio all’interno delle cellule della muscolatura liscia vascolare, e la riduzione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) (8), che sono causate da fumo, ipertensione, ipercolesterolemia ecc., e che concorrono all’insorgenza di disfunzione endoteliale. È importante sottolineare come, sia la presenza di ROS sia la carenza di NO circolanti siano fattori con un ruolo comprovato nello sviluppo dell’ipertensione essenziale (15,16). Inoltre, elevati livelli di NO sono in grado di inibire la proliferazione di cellule della muscolatura liscia vascolare e la conseguente iperplasia, riducendo quindi il tono vascolare e la pressione arteriosa (17). Per questi motivi, l’azione sinergica del Nebivololo nel ridurre la pressione arteriosa e nell’aumentare il rilascio di NO nei pazienti che lo assumono, sembra essere associata ad un miglioramento della disfunzione endoteliale intesa come una progressiva perdita, a seguito di danni causati da fumo/ipertensione/ipercolesterolemia ed altri fattori di rischio cardiovascolari, delle tipiche proprietà endoteliali come la regolazione vasomotoria e la modulazione in senso inibitorio dell’adesione/aggregazione piastrinica e dei fenomeni coagulatori.

Infine, il Nebivololo è anche un agonista dei recettori 3 a livello del tessuto adiposo (18,19), inducendo lipolisi (degradazione e rimozione dei grassi di deposito) e termogenesi attraverso l’attivazione del metabolismo energetico, della funzione mitocondriale e del consumo di ossigeno. In aggiunta, un’azione agonista sui recettori 3 presenti sull’adipocita e sul muscolo scheletrico potrebbe rivestire un ruolo nell’incrementare la sensibilità insulinica, portando ad una maggiore captazione del glucosio; è stata infine dimostrata la presenza dei recettori 3 anche a livello endoteliale dove, a seguito della loro attivazione, conduce alla stimolazione della NO sintasi che produce NO a partire dall’amminoacido arginina (20,21). L’attivazione dei recettori 3 a livello endoteliale può quindi essere alla base delle proprietà vasodilatatorie del Nebivololo. L’azione su 3 a livello cardiaco rimane ancora oggi invece poco investigata, ma i primi studi sembrano confermare un meccanismo cardio-protettivo (8).

I meccanismi d’azione farmacologica del Nebivololo, sono illustrati in Figura 2.

3.3 Farmacocinetica

L’assorbimento di entrambi gli enantiomeri del Nebivololo avviene rapidamente dopo assunzione per via orale e non è influenzato dalla concomitanza con i pasti. Tuttavia, il metabolismo del Nebivololo coinvolge l’isoenzima CYP2D6 e, di conseguenza, non è raccomandata l’assunzione concomitante con sostanze che inibiscono questo enzima come paroxetina, fluoxetina, tioridazina e chinidina. Il metabolismo del Nebivololo per idrossilazione aromatica è quindi soggetto al polimorfismo genetico di CYP2D6: la biodisponibilità orale del Nebivololo è in media del 12% nei metabolizzatori rapidi ed è praticamente completa nei metabolizzatori lenti. A causa della variabilità nella velocità del metabolismo, la dose di Nebivololo deve sempre essere adattata individualmente alle esigenze del singolo paziente: i metabolizzatori lenti, perciò, potrebbero richiedere dosi più basse.

Nella maggior parte dei soggetti (metabolizzatori rapidi) lo steady-state viene raggiunto entro 24 ore per il Nebivololo ed entro alcuni giorni per gli idrossi-metaboliti. Nel plasma, entrambi gli enantiomeri del Nebivololo sono prevalentemente legati all’albumina. L’eliminazione del farmaco e dei metaboliti avviene sia per via urinaria che fecale. Per quanto riguarda le interazioni con altri medicinali, le indicazioni corrispondono a quelle generalmente descritte per tutti gli antagonisti -adrenergici; l’associazione del Nebivololo è quindi non raccomandata con antiaritmici di classe I, calcioantagonisti e antipertensivi ad azione centrale.

3.4 Sicurezza e tollerabilità

Gli effetti collaterali più comuni durante l’assunzione del Nebivololo sono cefalea, affaticamento e parestesia. Altri effetti collaterali non comuni sono invece incubi e depressioni (dovuti alla moderata lipofilia della molecola che è quindi in grado di raggiungere il sistema nervoso centrale), bradicardia, broncospasmo e ipotensione. Tuttavia, grazie alla sua elevata selettività per il recettore 1 rispetto a 2, il Nebivololo risulta essere meglio tollerato rispetto ai farmaci di generazioni precedenti (22,23). Infatti, effetti collaterali piuttosto comuni in pazienti che assumono -bloccanti di prima e seconda generazione come bradicardia e sindrome di Raynaud (causata da vasocostrizione periferica), si verificano in maniera più sporadica durante l’assunzione del Nebivololo. Analogamente, in corso di assunzione di nebivololo, sono meno frequenti effetti indesiderati piuttosto rilevanti per altri b-bloccanti non selettivi come broncocostrizione, asma e disfunzioni metaboliche (es: propensione allo sviluppo del diabete di tipo II) dipendenti dall’antagonismo periferico del recettore 2. Per questo motivo, il Nebivololo non sembra quindi alterare nè la performance sportiva durante l’esercizio fisico in soggetti sani (22), né la glicemia nei pazienti diabetici (24). Infine, per la sua proprietà vasodilatatoria NO-dipendente, il Nebivololo è, attualmente, il -bloccante con un effetto neutro sulla funzione erettile (8).

A causa di mancanza di dati, l’utilizzo del Nebivololo per il trattamento dell’ipertensione in pazienti con insufficienza epatica o in bambini/adolescenti è controindicato. Per i pazienti con insufficienza renale o con età maggiore di 65 anni, invece, la dose iniziale consigliata è di 2,5 mg al giorno, che può essere successivamente aumentata a 5 mg. Infine, nei pazienti di età maggiore di 75 anni, la somministrazione di Nebivololo deve essere attentamente monitorata.

Il Nebivololo non deve essere poi usato in gravidanza se non in caso di assoluta necessità; infatti, esso ha effetti farmacologici che possono essere dannosi sulla gestazione e sul feto. Inoltre, basandosi su dati pre-clinici, il Nebivololo sembrerebbe essere escreto dal latte materno: per questo motivo, l’allattamento al seno non è consigliato durante l’assunzione di questo farmaco.

Come per tutti gli altri -bloccanti, il Nebivololo è poi controindicato in caso di malattia del nodo del seno, storia di broncospasmo e asma bronchiale, feocromocitoma non trattato, acidosi metabolica, bradicardia (frequenza cardiaca < 60 bpm prima dell’inizio del trattamento) e gravi disturbi circolatori periferici.

Nonostante il Nebivololo non alteri la glicemia, esso va utilizzato con cautela nei pazienti diabetici che assumono insulina o altri farmaci antidiabetici orali, in quanto può mascherare alcuni sintomi di ipoglicemia come la tachicardia e le palpitazioni.

3.5 Studi clinici più rilevanti

– The SENIORS Study (25) (2005): il Nebivololo è efficace e ben tollerato nei pazienti anziani con scompenso cardiaco

Lo studio SENIORS (25) (Study of the effect of Nebivolol Intervention on Outcomes and Rehospitalisation in Seniors with Heart Failure) è stato uno studio chiave nella dimostrazione dell’efficacia e sicurezza del Nebivololo nel trattare pazienti anziani con scompenso cardiaco. La struttura di questo studio internazionale è randomizzata, a doppio cieco e multicentrica. Numerosi trial clinici hanno dimostrato che l’assunzione di -bloccanti è in grado di portare beneficio nei pazienti con scompenso cardiaco, determinando una significativa riduzione del rischio di ospedalizzazione e di morte (26–28). Tuttavia, al tempo dello studio, mancavano ancora dati riguardanti efficacia e sicurezza del Nebivololo su un’ampia coorte di pazienti anziani con scompenso cardiaco, nei quali la somministrazione di -bloccanti deve essere attentamente monitorata (25). Era quindi necessario svolgere maggiori approfondimenti sull’equilibrio tra efficacia e tolleranza in pazienti anziani con scompenso cardiaco, indipendentemente dalla frazione di eiezione. Il Nebovolo, essendo un -bloccante con un profilo peculiare, risultava essere potenzialmente più tollerato da questo gruppo di pazienti. In particolare, nello studio è stato valutato l’effetto del Nebivololo sulla morbilità e mortalità di pazienti ≥ 70 anni (età media 76 anni) con scompenso cardiaco, in confronto ad un gruppo placebo. L’assunzione del Nebivololo nel trattamento dello scompenso cardiaco prevedeva, come di prassi, progressiva titolazione: i pazienti hanno infatti iniziato la terapia con 1,25 mg al giorno per arrivare, nel giro di 7 settimane, alla dose target ottimale di 10 mg. Nonostante i pazienti anziani fossero a maggior rischio di effetti di ipotensione e bradicardia, il 68% di pazienti è riuscito a raggiungere la massima dose, supportando l’ipotesi di un buon profilo di tollerabilità del Nebivololo.

Il risultato emerso dallo studio è la riduzione significativa del rischio di mortalità per tutte le cause o ospedalizzazioni per motivi cardiovascolari in corso di trattamento con Nebivololo rispetto al placebo. L’effetto benefico appare dopo 6 mesi dall’inizio della terapia e la riduzione del rischio aumenta nel tempo in corso di trattamento.

Lo studio SENIORS (25) mostra quindi, in un’ampia popolazione di pazienti, che il vasodilatatore e antagonista 1-selettivo Nebivololo è ben tollerato e efficace nel ridurre la mortalità e la morbilità nei pazienti anziani con insufficienza cardiaca, indipendentemente dalla frazione di eiezione iniziale.

– The YESTONO Study (24) (2007): il Nebivololo è un β-bloccante adatto ai pazienti ipertesi e diabetici

Lo studio YESTONO (24) è il più ampio studio prospettico, aperto, multicentrico e di monitoraggio post-marketing, svolto con l’obiettivo di verificare gli effetti ipotensivi e metabolici del Nebivololo in pazienti ipertesi con diabete di tipo 2 (con o senza altre comorbidità). Ai pazienti arruolati è stato prescritto il trattamento con Nebivololo, in monoterapia o in aggiunta ad altri farmaci antipertensivi, e la raccolta dei dati è stata effettuata dopo 3 mesi dall’inizio della terapia.

La pressione arteriosa è un parametro critico per i pazienti diabetici che necessita di essere monitorato e trattato farmacologicamente nel caso di ipertensione. Infatti, l’elevata pressione arteriosa nei pazienti diabetici determina un aumento del rischio di complicanze micro e macrovascolari come nefropatie, retinopatie, malattie vascolari periferiche e patologie cardiovascolari che possono risultare fatali (24). Per questo motivo le linee guida sottolineano l’importanza dell’aggiunta di un farmaco antipertensivo nella terapia di pazienti diabetici ipertesi per il raggiungimento di livelli di pressione arteriosa <140/90 e possibilmente <130/80 mmHg. Numerosi studi hanno riscontrato come i -bloccanti di prima e seconda generazione siano associati a un effetto non favorevole sui parametri metabolici e glicemici (29). Per tale ragione, questa classe di farmaci antipertensivi è solitamente poco considerata per il trattamento dell’ipertensione nei pazienti diabetici. Tuttavia, essendo il Nebivololo un -bloccante di ultima generazione con un doppio profilo da 1-antagonista selettivo e agente vasodilatante, esso è un valido candidato per il trattamento dell’ipertensione in questa categoria di pazienti.

L’obiettivo primario dello studio era quello di valutare l’efficacia antipertensiva del Nebivololo nei pazienti diabetici; come ulteriori obiettivi dello studio sono stati valutati gli effetti di nebivololo sui parametri metabolici, la tollerabilità del trattamento e la sua influenza sulla performance fisica. Dopo tre mesi dall’introduzione in terapia del Nebivololo, la SBP e la DBP sono diminuite rispettivamente di 21,1 e 10,9 mmHg e il 62% dei pazienti è risultato raggiungere l’obiettivo raccomandato di BP < 130/80 mmHg, dimostrando l’efficacia dell’effetto antipertensivo della molecola anche in questo sottotipo di pazienti.

Inoltre, a seguito dell’introduzione in terapia del Nebivololo, è stato riscontrato un leggero ma significativo aumento della quota di pazienti in grado di svolgere attività fisica di grado medio-elevato (56,6% dei pazienti prima dell’inizio dello studio vs 61,5% a seguito dell’introduzione del Nebivololo), risultati indicativi di un miglioramento delle capacità fisiche dei pazienti. Inoltre, solo 9 pazienti sulla totalità dei pazienti arruolati (pari al 0,3%), ha riportato eventi avversi, dimostrando quindi la buona tollerabilità del Nebivololo. I parametri più rilevanti valutati in questo studio erano però i parametri metabolici come glicemia a digiuno, emoglobina glicata (HbA1c), peso, colesterolo totale e trigliceridi. A 3 mesi dall’inizio dell’assunzione di Nebivololo, tutti i parametri elencati sono risultati essere significativamente migliorati rispetto ai livelli registrati all’inizio dello studio, supportando l’ipotesi che, il Nebivololo, a differenza dei -bloccanti della prima e seconda generazione, non solo non altera negativamente i parametri metabolici del paziente, ma, in media, ne migliora il profilo. I valori metabolici medi registrati nello studio YESTONO prima e dopo 3 mesi dall’inizio della terapia con Nebivololo, sono riassunti nella Figura 3.

Il profilo metabolico favorevole del Nebivololo nei pazienti diabetici potrebbe essere una conseguenza della sua azione da agonista sul recettore 3 espresso sugli adipociti e sulle cellule muscolari scheletriche, che stimola la lipolisi e aumenta la sensibilità insulinica (24). Tuttavia, ulteriori studi sono necessari per meglio chiarire questo aspetto.

In conclusione, questo studio, ha confermato in modo convincente come il Nebivololo sia un farmaco -bloccante adatto anche ai pazienti diabetici, in quanto ne migliora la capacità di sforzo fisico e il profilo glicemico e lipidico.

– The MR NOED Study (30) (2007): l’assunzione di Nebivololo riduce il rischio di disfunzione erettile, rispetto ad altri β-bloccanti

Un effetto indesiderato e fortemente impattante sulla qualità di vita frequentemente riportato dagli uomini con ipertensione in trattamento con -bloccanti, è la disfunzione erettile (ED), definita come l’incapacità di raggiungere o mantenere una funzione erettile sufficiente per prestazioni sessuali soddisfacenti (30).

Lo studio MR NOED ha avuto come obiettivo quello di investigare gli effetti del Metoprololo (-bloccante di seconda generazione) e del Nebivololo sulla ED di pazienti con ipertensione essenziale, fra i 40 e i 55 anni e senza storia di disfunzione erettile in passato.

Dopo due settimane di placebo, i pazienti sono stati randomizzati in doppio cieco. I livelli di ED sono stati poi valutati in base a un questionario di valutazione dell’indice internazionale di funzione erettile (IIEF) e un diario personale dei pazienti.

Il Nebivololo e il Metoprololo sono risultati ugualmente efficaci nell’abbassare la pressione arteriosa; tuttavia, il Metoprololo, ma non il Nebivololo, ha portato a una significativa diminuzione della valutazione IIEF nelle prime otto settimane dopo l’inizio dell’assunzione del -bloccante, in termini di funzionalità erettile e soddisfazione generale. Inoltre, il trattamento con Nebivololo è risultato associato ad effetti tendenzialmente favorevoli su alcuni specifici parametri di funzionalità erettile e sessuale (Figura 4). È immediato pensare che queste differenze di effetto fra il Nebivololo e il Metoprololo sulla funzionalità erettile, siano dovute a un diverso meccanismo d’azione: infatti, a differenza del Metoprololo, il Nebivololo oltre ad essere un -bloccante cardioselettivo, è anche in grado, come già detto, di modulare positivamente la sintesi e il rilascio di NO, portando a vasodilatazione. Ne consegue un miglior profilo emodinamico, che può contribuire anche sulla funzionalità erettile (30).

La minor incidenza di ED nei pazienti trattati con Nebivololo rispetto agli altri -bloccanti, è stata successivamente confermata su altre categorie di soggetti, come i pazienti sottoposti a bypass coronarico (CABG), per i quali è raccomandata l’assunzione di -bloccanti in fase pre- e post-operatoria (31,32). Nel 2017 è stato infatti pubblicato uno studio clinico (32) in cui sono stati confrontati gli indici di ED in soggetti sottoposti a CABG in terapia con Nebivololo o Metoprololo. Non è stata riscontrata alcuna differenza significativa nell’efficacia antischemica tra i due -bloccanti considerati; tuttavia, l’incidenza di gravi ED è stata significativamente superiore nei pazienti in trattamento con Metoprololo rispetto al Nebivololo.

In conclusione, l’uso di -bloccanti è classicamente associato a effetti collaterali correlati con la funzione erettile. Tuttavia, sempre più studi sono a sostegno di una minor frequenza di tali disfunzioni in corso di trattamento con Nebivololo, che, in alcuni studi, sembra dare addirittura un apporto positivo alla funzionalità erettile per il suo profilo di agente vasodilatante (31,32).

3.6 Conclusioni

I farmaci -bloccanti sono inseriti nelle linee guida per il trattamento dell’ipertensione arteriosa. Tuttavia, le molecole -bloccanti appartenenti alla prima e seconda generazione avevano rivelato un effetto subottimale nel ridurre la pressione arteriosa e gli eventi cardiovascolari rispetto alle altre classi di ipertensivi (8) e, inoltre, gli effetti collaterali ad esse correlate risultavano impattanti sulla qualità della vita dei pazienti. Oggi però, l’utilizzo di farmaci -bloccanti di terza generazione con un’efficacia integrata da specifiche proprietà aggiuntive, ha ridotto notevolmente l’incidenza di effetti collaterali ed ha di conseguenza migliorato la qualità della vita e la compliance dei pazienti.

Il Nebivololo è un farmaco -bloccante di terza generazione indicato per il trattamento dell’ipertensione arteriosa e lo scompenso cardiaco. Esso possiede un profilo farmacologico unico rispetto agli altri farmaci della classe: antagonista 1 selettivo, vasodilatatore NO-dipendente e agonista 3. Fra i vantaggi che la terapia con Nebivololo comporta rispetto ai -bloccanti delle generazioni precedenti, troviamo i significativi miglioramenti di disfunzioni endoteliali, e il minor impatto sui casi di disfunzione erettile e sul profilo metabolico ed emodinamico. Infatti, i più recenti trial clinici sono per lo più focalizzati sul confronto di efficacia, sicurezza e tollerabilità fra -bloccanti di terza generazione, tra cui il Nebivololo, e i farmaci delle generazioni precedenti (8). Grazie a questi studi, sono anche emerse specifiche e peculiari proprietà del Nebivololo: per esempio, esso è risultato essere un emergente candidato per terapie di prima linea nella riduzione della pressione arteriosa sistolica in associazione con altri antipertensivi come l’idroclorotiazide (9) e il valsartan (33); inoltre, in un recente studio retrospettivo (34) su più di 80.000 pazienti, è stato riscontrato come il rischio di ospedalizzazione per eventi cardiovascolari fosse significativamente superiore nei -bloccanti di prima e seconda generazione (come l’atenololo e il metaprololo) rispetto al Nebivololo.

In conclusione, appare evidente come il Nebivololo possieda dei vantaggi terapeutici rispetto alle altre generazioni di -bloccanti. Queste peculiarità di Nebivolo lo rendono particolarmente indicato nella generalità dei pazienti con ipertensione arteriosa e/o scompenso cardiaco, anche nei casi di concomitanti comorbilità metaboliche o respiratorie, in ragione di una documentata efficacia protettiva e di un profilo di tollerabilità superiore rispetto ad altri beta-bloccanti.

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Caratteristiche
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